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Definición y significado de Annibale

Definición

definición de Annibale (Wikipedia)

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Frases

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Annibale

                   
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Annibale Barca
HannibalTheCarthaginian.png
Un busto di marmo, ritenuto di Annibale, ritrovato a Capua; alcuni storici hanno messo in dubbio la sua autenticità[1]
Nato Cartagine, 247 a.C.
Morto Gebze, 182 a.C.
Dati militari
Grado Generale cartaginese
Guerre Seconda guerra punica (219 a.C. – 202 a.C.)
Battaglie Sagunto (219 a.C.)
Ticino (218 a.C.)
Trebbia (218 a.C.)
Lago Trasimeno (217 a.C.)
Canne (216 a.C.)
Zama (202 a.C.)
Nemici storici Roma

[senza fonte]

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Annibale Barca (Cartagine, 247 a.C.Gebze, 182 a.C.) fu un condottiero e politico cartaginese, famoso per le sue vittorie durante la Seconda guerra punica.

Marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei, la Provenza e le Alpi, scese in Italia, dove sconfisse le legioni romane in quattro battaglie principali – battaglia del Ticino (218 a.C.), battaglia della Trebbia (218 a.C.), battaglia del Lago Trasimeno (217 a.C.), battaglia di Canne (216 a.C.) – e in altri scontri minori.

Dopo la battaglia di Canne i Romani rifiutarono lo scontro diretto e gradualmente riconquistarono i territori del sud Italia di cui avevano perso il controllo. La Seconda guerra punica terminò con l'attacco romano a Cartagine, che costrinse Annibale al ritorno in Africa nel 204 a.C. dove fu definitivamente sconfitto nella Battaglia di Zama, nel 202 a.C.

Dopo la fine della guerra, Annibale guidò Cartagine per parecchi anni cercando di ripararne le devastazioni, fino a quando i Romani non lo forzarono all'esilio nel 195 a.C. Annibale si rifugiò quindi dal re seleucide Antioco III in Siria dove continuò a propugnare guerre contro Roma. Nel 189 a.C. Antioco III fu sconfitto dai Romani e Annibale dovette ricominciare la fuga, questa volta presso il re Prusia I in Bitinia. Quando i Romani chiesero a Prusia la sua consegna, Annibale preferì suicidarsi; era il 182 a.C.

Annibale è considerato uno dei più grandi generali della storia[2]. Polibio, suo contemporaneo, lo paragonava a Publio Cornelio Scipione Africano[3]; altri lo hanno accostato ad Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone[4].

Indice

  Biografia

  Origini familiari e gioventù

Annibale (dal punico Hanniba'al חניבעל, Dono [o Grazia] di Baal), figlio di Amilcare; fratello di Asdrubale Barca e di Magone Barca che era stato soprannominato "Barca" (da Barak che in punico significava "fulmine"), nacque nel 247 a.C. Il padre, dopo la sconfitta di Cartagine nella Prima guerra punica e dopo aver domato la rivolta dei mercenari e dei sudditi libici,[5] in rotta con il partito aristocratico, cercava la rivincita. Convinse il "Senato" cartaginese a dargli un esercito per conquistare l'Iberia che alcune fonti indicano come un dominio cartaginese perduto.[5] Cartagine fornì solo una forza relativamente ristretta e Amilcare accompagnato dal figlio Annibale, dopo avergli fatto giurare odio eterno a Roma sull'altare di Baal, intraprese nel 237 la marcia lungo le costa del Nord Africa fino alle Colonne d'Ercole. Gli altri due figli, Asdrubale e Magone, restarono a Cartagine. Pur con poche truppe e pochi finanziamenti, Amilcare sottomise le città iberiche scegliendo come base operativa la vecchia colonia punica di Gades, l'odierna Cadice. Egli riaprì le miniere per autofinanziarsi, riorganizzò l'esercito e iniziò la conquista.

Fornendo alla madrepatria convogli di navi cariche di metalli preziosi che aiutarono Cartagine nel pagamento dell'ingente debito di guerra con Roma, Amilcare ottenne finalmente grande popolarità in patria. Sfortunatamente rimase ucciso durante l'attraversamento di un fiume. Venne scelto come suo successore il marito di sua figlia, Asdrubale.[6] Per otto anni Asdrubale comandò le forze cartaginesi consolidando la presenza punica, edificando una nuova città (Carthago Nova – oggi Cartagena). Asdrubale, impegnato nel consolidamento delle conquiste cartaginesi in Iberia, approfittò delle relativa debolezza di Roma che doveva fronteggiare i Galli in Italia e in Provenza per strappare il riconoscimento della sovranità cartaginese a sud del fiume Ebro.[7] Asdrubale morì nel 221 a.C. pugnalato in circostanze mai veramente chiarite.[8] I soldati, a questo punto, acclamarono loro comandante all'unanimità, il giovane Annibale.[9] Aveva ventisei anni e ne aveva passati diciassette lontano da Cartagine. Il governo cartaginese confermò questa scelta.[10]

« I veterani credevano (nel vedere Annibale) che fosse stato loro restituito Amilcare giovane (il padre), notando nello stesso identica energia nel volto e identica fierezza negli occhi, nella fisionomia del suo viso»

Annibale cominciò ad attaccare la popolazione degli Olcadi, che si trovavano a sud dell'Ebro, sottomettendo poco dopo la loro capitale Cartala (l'odierna Orgaz) e costringendoli a pagare un tributo (221 a.C.).[11] L'anno successivo (220 a.C.), dopo aver trascorso l'inverno a Nova Carthago carico di bottino, fu la volta dei Vaccei, che sottomise anch'essi riuscendo ad occupare le loro città di Hermantica e poi Arbocala (identificabile forse con la moderna Zamora), dopo un lungo assedio.[12] Gli abitanti di Hermantica, in seguito, dopo essersi ricongiunti con il popolo degli Olcadi, riuscirono a convincere i Carpetani a tendere al generale cartaginese una trappola sulla via del ritorno, nei pressi del fiume Tago.[13] Annibale riuscì però a battere i loro eserciti congiunti, composti da ben 100.000 armati (principalmente Carpetani). Egli, infatti, dopo essere riuscito in un primo momento ad evitare l'imboscata che gli avevano teso presso il fiume Tago, quando le forze nemiche, a loro volta, cercarono di attraversarlo per disporsi a muovere battaglia contro i Cartaginesi, cariche di armi e bagagli, furono irrimediabilmente sconfitte e sottomesse.[14] Annibale, dopo due anni trascorsi a completare la conquista dell'Iberia a sud dell'Ebro, si sentì pronto alla guerra contro Roma.


Decise così di muovere guerra a Sagunto[15] – città alleata a Roma – con la motivazione che si trovava a sud dell'Ebro e quindi rientrava nei territori di competenza dei Cartaginesi non dei Romani e gli era stato imposto con la violenza e l'inganno dai Romani un governo-fantoccio filo-romano, che ora attaccava gli alleati dei Cartaginesi (vedi Polibio e lo storico M. Bontempelli). L'assedio durò otto mesi e terminò nel 219 a.C. con la conquista della città. Conquista agevolata da Roma che, impegnata su altri fronti, credeva di avere tempo a disposizione: "Ma, facendo ciò, i Romani sbagliarono. Li prevenne Annibale, occupando Sagunto." (Polibio) Per questo la guerra non si svolse in Spagna,avendo i Romani come base Sagunto, ma in Italia. "I Romani, avendo notizia della disgrazia occorsa a Sagunto, non stettero affatto a discutere se fare o non fare guerra, come assurdamente riferiscono alcuni scrittori" (Polibio). I Romani, invece, appena saputo dell'attacco a Sagunto, inviarono un'ambesceria a Cartagine in cui comandavano di consegnare Annibale e tutti i suoi generali o di aspettarsi un tremendo attacco.

Il senato cartaginese, ricevuta alla fine di marzo 218 a.C. un'ambasceria romana, capeggiata dal princeps del Senato Marco Fabio Buteone, non accettò le condizioni dei romani (restituzione di Sagunto e consegna di Annibale). La guerra divenne inevitabile.

  La seconda guerra punica (219-201 a.C.)

  Statua di Annibale Barca.
Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Seconda guerra punica.

  Invasione dell'Italia e i primi successi (218-216 a.C.)

Nella primavera del 218 a.C., sul finire di maggio, dopo aver lasciato il comando della Spagna centrale e meridionale al fratello Asdrubale il giovane, Annibale, iniziò la grande marcia. 90 000 fanti, 12 000 cavalieri e 37 elefanti lasciarono Carthago Nova con meta l'Italia.

Dopo aver valicato il confine del fiume Ebro, iniziarono i primi problemi. L'opposizione delle genti catalane a nord dell'Ebro fu molto forte. Polibio scrive che Annibale "dovette combattere contro almeno quattro tribù". Gli Ilergeti, i Bargui, gli Ausetani e i Lacetani. A difendere le nuove conquiste Tarragona, Barcino (l'odierna Barcellona), Gerona e tutta la Costa Brava, Annibale lasciò il fratello Annone con 11 000 uomini. Altri uomini furono congedati e tornarono in Spagna.

Tolti dal numero i congedati, i morti in battaglia, i dispersi e i disertori, 50 000 fanti, 9 000 cavalieri e i 37 elefanti raggiunsero la colonia greca di Emporion (attuale Ampurias) ed oltrepassarono i Pirenei valicando il Colle del Perthus durante il mese di agosto. Dopo un relativamente facile attraversamento dei Pirenei, Annibale dovette scontrarsi con le tribù galliche alleate alla colonia greca di Marsiglia e – contrariamente alle aspettative del generale cartaginese – del tutto indifferenti alla situazione delle consorelle che occupavano la Pianura Padana e sentivano la pressione delle armi romane. Raggiunto il Rodano agli inizi di settembre, Annibale trovò ad aspettarlo Magilo, re dei Boi (popolazione della Gallia Cisalpina), venuto ad aiutare il generale cartaginese ad attraversare le Alpi al fine di combattere il comune nemico: Roma.

Nel frattempo il console Publio Cornelio Scipione (padre del futuro Scipione l'Africano), che aveva radunato in agosto il suo esercito a Pisa per imbarcarlo alla volta della Spagna, venne raggiunto dalla notizia che Annibale aveva varcato i Pirenei e decise di bloccarlo sul Rodano poiché, non essendo il fiume guadabile, Annibale avrebbe dovuto costruire un ponte di barche per attraversarlo col suo imponente esercito, con conseguente rallentamento nella marcia. Così il console veleggiò verso la città alleata di Massilia, l'odierna Marsiglia, alle foci del fiume.

Annibale dopo aver annullato la resistenza di alcune tribù celtiche, mandò la cavalleria numidica in avanscoperta e avvenne il primo contatto con l'esercito nemico: trecento cavalieri che pattugliavano la zona. Fu solo una scaramuccia, ma le distanze fra i due eserciti si erano ormai annullate.

Il generale cartaginese volle evitare lo scontro, poiché il suo scopo era di arrivare in Italia e fomentare la sollevazione delle popolazioni assoggettate dai romani; così dopo aver fatto passare il fiume agli elefanti tramite un espediente (zatteroni mimetizzati da terreno con ai fianchi otri di pelle pieni di paglia per regger il peso), puntò verso nord risalendo il corso del Rodano. Arrivato all'altezza dell'odierno fiume Isère, seguì il suo corso, e decise di attraversare le Alpi dal Moncenisio (secondo la versione di Polibio). Secondo altri storici invece valicò il colle del Piccolo San Bernardo (Cremonis iugum) che viene citato anche da Nepote con il nome di Saltus Graius (Nep.,Hannibal,III).

Una più recente ricostruzione, sempre basata sugli scritti di Polibio, colloca il passaggio per il Colle dell'Autaret nelle Valli di Lanzo e la discesa verso quello che è l'attuale comune di Usseglio. Una curiosità è che una frazione di Usseglio si chiama Magone (Magone era il fratello di Annibale). Era la fine di ottobre e Annibale riuscì a raggiungere la Pianura Padana poco prima dell'inverno, mantenendo quell'effetto sorpresa che voleva ottenere.

Dei sessantamila che avevano attraversato i Pirenei, quasi 50 000 tra fanti e cavalieri e tutti i 37 elefanti (di cui, secondo Polibio, solo uno riuscirà a sopravvivere all'inverno e alle conseguenze del viaggio, gli altri moriranno l'anno seguente), riuscirono ad arrivare nella Pianura Padana. Sconfiggendo tribù montane, difficoltà del terreno e intemperie, Annibale aveva compiuto una delle imprese militari più memorabili del mondo antico. Assai dettagliata è la descrizione dell'attraversamento in Livio che cita anche un geniale metodo per spaccare le rocce che impedivano il passaggio (metodo confermato anche da Vitruvio e Plinio): Annibale riscaldò la roccia e un volta raffreddatasi la spezzò dopo averla ricoperta di aceto. Interessante la visione di un gigantesco masso sopra Malciaussia volutamente spezzato dall'uomo.

  Invasione di Annibale dalle Alpi, durante la seconda guerra punica.

La sua improvvisa apparizione fra i Galli della Pianura Padana fece staccare molte tribù dalla appena stipulata alleanza con Roma. Dopo una breve sosta per lasciare riposare i soldati, Annibale si assicurò le posizioni alle spalle sottomettendo la tribù ostile dei Taurini (nei dintorni dell'odierna Torino). Quindi mosse lungo la valle del Po sconfiggendo i Romani, guidati dal console Publio Cornelio Scipione, in una scaramuccia presso Victimulae lungo il Ticino, costringendoli ad evacuare buona parte della Lombardia con azioni della sua superiore cavalleria. Nel dicembre dello stesso anno ebbe l'opportunità di mostrare la sua capacità strategica quando attaccò al fiume Trebbia (Battaglia della Trebbia) vicino Piacenza le forze di Publio Cornelio Scipione (padre dell'Africano), cui si erano aggiunte le legioni di Tiberio Sempronio Longo. Tatticamente la battaglia anticipò quella di Canne. L'eccellente fanteria romana si incuneò nel fronte dell'esercito cartaginese, ma i romani furono accerchiati ai fianchi dalle ali della cavalleria numidica e respinti verso il fiume. Dei 16.000 legionari e 20.000 alleati, si salvarono circa 10.000 uomini che ripiegarono nella colonia romana di Piacenza fondata da pochi anni (218 a.C.).

Dopo aver resa sicura la sua posizione nel nord Italia con questa battaglia, Annibale acquartierò le sue truppe per l'inverno fra i Galli, il cui zelo per la sua causa cominciò a scemare a causa dei costi del mantenimento dell'esercito punico. Nella primavera del 217 a.C. Annibale decise di trovare a sud una base di operazioni più sicura. Con le sue truppe e l'unico elefante sopravvissuto all'inverno, attraversò quindi l'Appennino senza incontrare opposizione. Lo attendevano grosse difficoltà nelle paludi dell'Arno, dove perse molte delle sue truppe per i disagi e le malattie e dove egli stesso perse un occhio.

« Annibale scampò a stento, con grande pena, sull'unico elefante sopravvissuto, molto sofferente per una grave forma di oftalmia che lo aveva colpito, a causa della quale gli fu infine anche tolto un occhio... »
(PolibioStorie, III, 79, 12, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)

Nepote invece afferma che non poté più utilizzare l'occhio destro bene come prima. (Nep., Hannibal, IV)

Avanzò quindi in Etruria su terre più elevate, inseguito dalle armi romane. Con l'aiuto della nebbia riuscì a sconfiggere i romani a Tuoro sul Trasimeno, nella più conosciuta Battaglia del Lago Trasimeno piombando all'improvviso dalle colline circostanti sulle truppe romane in spostamento e intrappolandole sulle spiagge e nelle acque del lago. La disfatta per i romani fu pesantissima, e nella battaglia morì anche il console Gaio Flaminio. La strada per Roma era aperta, ma solo teoricamente. Se da un lato è vero che nessun esercito si frapponeva più fra lui e Roma, d'altro canto Annibale si rendeva conto di non disporre di un esercito tecnologicamente attrezzato per un assedio della Città, prevedibilmente lungo. Fra l'altro, man mano che si addentrava in Umbria, dovette anche constatare che le popolazioni si mostravano sempre più fedeli a Roma e a lui più ostili,[16] pertanto preferì sfruttare la sua vittoria per spostarsi dal Centro al Sud Italia e lì provare a suscitare una generale rivolta contro i dominatori di Roma. Nonostante un iniziale successo, questa strategia a lungo andare fallì perché comunque la maggior parte delle città sottomesse a Roma non si rivoltarono.

  Annibale sfugge al Temporeggiatore, ingannandolo sulla reale entità delle proprie forze, applicando nella notte delle torce accese sulle corna dei buoi.

Anche se controllato e infastidito da vicino dalle truppe del dittatore Quinto Fabio Massimo che sarà detto "il Temporeggiatore", riuscì parzialmente nel suo intento staccando vari popoli dall'alleanza con Roma. In un'occasione, anche se intrappolato nella pianura Campana riuscì a sfuggire con uno stratagemma e a trovare una base confortevole nelle pianure dell'Apulia, dove i Romani non osavano scendere per timore della superiore cavalleria del cartaginese.

Nella campagna del 217 a.C. Annibale non riuscì a ottenere un seguito fra le popolazioni Italiane, ma l'anno seguente ebbe l'opportunità di creare una svolta in questo atteggiamento. Un forte esercito Romano comandato dai consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone avanzò verso di lui in Apulia e accettò battaglia nei pressi di Canne (Battaglia di Canne). Ponendo al centro dello schieramento la fanteria ibero-gallica (che come previsto cedette rapidamente sotto l'urto dell'attacco frontale dei legionari) e sui due lati la fanteria pesante africana, armata in parte con armi romane catturate nelle precedenti battaglie, Annibale attirò la massa delle legioni romane in una trappola. Nel tentativo di sfondare le linee dei galli, i romani furono attaccati sui fianchi dalla fanteria pesante africana e presto, compressi in uno spazio ristretto, non poterono far valere la loro superiorità numerica e furono messi in difficoltà. Inoltre la cavalleria pesante numidica sbaragliò subito la cavalleria romano-italica, e, mentre la cavalleria leggera numidica, inseguiva i resti della cavalleria nemica, rientrò in campo alle spalle delle legioni romani già in grave difficoltà, completando l'accerchiamento[17]. Annibale riuscì quindi a circondare le legioni e a distruggerle quasi completamente. Le legioni romane, attaccate da tutte le direzioni e senza spazio di manovra, furono progressivamente distrutte, quasi 70.000 legionari caddero sul campo, 10.000 furono i prigionieri e solo 3.000 circa riuscirono a rifugiarsi a Venusia con il superstite console Varrone[18].

Le perdite di Annibale furono circa 6.000. Questa vittoria portò al suo fianco la quasi totalità delle popolazioni meridionali, mentre l'Etruria e i Latini restarono fedeli all'Urbe. Non avendo però ricevuto aiuti a sufficienza né dalla madrepatria né dai nuovi alleati, non poté portare un attacco diretto a Roma nonostante questa non potesse più schierare molte truppe a sua difesa. Dovette quindi accontentarsi di dispiegare le truppe al controllo del territorio e il solo evento notevole del 216 a.C. fu la conquista di Capua, allora la seconda maggior città d'Italia. Annibale vi pose la sua nuova base.

  Gli anni trascorsi nell'Italia meridionale (215-203 a.C.)

Negli anni successivi Annibale si dovette adattare a operazioni minori, per lo più necessarie al controllo della Campania. Non riuscì a costringere i suoi nemici ad una battaglia definitiva e, anzi, dovette subire alcune leggere sconfitte. Con il passare del tempo la sua posizione nel Sud Italia divenne sempre più difficile. Le truppe affidate ai suoi subordinati non erano, in genere, capaci di operare da sole e né il governo cartaginese (che inviò solo 4.000 numidi e 48 elefanti [senza fonte]) né il suo alleato Filippo V di Macedonia (disturbato dall'azione diplomatica romana presso la Lega Etolica e Attalo I di Pergamo, avversari del re macedone) operarono per portargli un aiuto concreto e sufficiente. La conquista di Roma diventava sempre più remota e difficile.

Nel 212 a.C. Annibale ottenne un grande successo conquistando la colonia greca di Taranto, in prospettiva utile porto per ricevere aiuti via mare dall'Africa. Per contro, non riuscendo a respingere le armi romane in Campania, perse il controllo della regione. L'anno successivo Annibale ritornò in Campania con tutto l'esercito e con una marcia attraverso il Sannio arrivò a tre chilometri da Roma causando il terrore della popolazione, ma pochissimi danni e ancora meno pericolo.

Ma nello stesso anno Capua cadde nuovamente in mani romane. E Roma dimostrò come trattava le popolazioni che tradivano. Questo rese più difficile la situazione del cartaginese, facendo vacillare la decisione nelle altre popolazioni vicine. Nel 210 a.C. sconfisse un esercito proconsolare a Herdoniae (oggi Ordona) in Apulia e nel 208 a.C. distrusse una forza romana che assediava Locri. Però Quinto Fabio Massimo, nonostante i suoi quasi settant'anni, assalì Taranto che espugnò l'anno successivo. 30.000 abitanti furono venduti come schiavi.

Era il 209 a.C. e Roma con 10 delle sue 25 legioni attive (circa 200.000 uomini mobilitati) continuava la graduale riconquista del Sannio e della Lucania.

Nel 207 a.C. Annibale ritornò in Apulia, dove sperava di riuscire a concertare un ricongiungimento con un esercito cartaginese che stava discendendo l'Italia agli ordini del fratello Asdrubale. Per sua sfortuna, Asdrubale fu sconfitto nella Battaglia del Metauro dalle legioni di Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone e morì. Annibale dovette ritirarsi nelle montagne del Brutium (Calabria) dove riuscì a resistere per alcuni anni. Il fratello superstite Magone venne fermato in Liguria 205 a.C.203 a.C. e i negoziati con Filippo V di Macedonia non gli portarono nessun vantaggio a causa dell'interferenza romana. L'ultima speranza di successo in Italia ebbe così termine e Annibale ritornò in Africa, quindici anni dopo avere attraversato le Alpi.

Quindici anni in cui aveva scorrazzato libero per tutto il territorio italiano, infliggendo ai romani sul loro stesso territorio sconfitte pesantissime e battendo i consoli mandati contro di lui, con quasi nessuna defezione nel suo variegato esercito. Solo un grande generale poteva attuare un'impresa simile, per molti secoli ineguagliata.

  Ritorno in Africa (203-202 a.C.)

  Annibale ritrova il capo mozzato del fratello Asdrubale, ucciso dai Romani, affresco di Giovambattista Tiepolo, 1725-1730 ca, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

Nel 204 a.C. Publio Cornelio Scipione Africano, che l'anno prima era stato eletto console, portò la guerra in Africa con 25.000 uomini. Scipione si alleò con Massinissa, re numida avversario dell'altro re numida, Siface, che lo aveva cacciato dal regno con l'aiuto dei cartaginesi, e ne poté usare la cavalleria, molto più adatta alle nuove tattiche belliche di quella romana. Cartagine cercò di intavolare trattative di pace ma Scipione sconfisse le forze di Asdrubale e Siface in due consecutive battaglie.

Nel 203 a.C. Annibale e il fratello Magone, che aveva appena subito una sconfitta a Milano e che morì nel viaggio di ritorno, furono richiamati in patria e il condottiero, dopo aver lasciato un ricordo della sua spedizione su tavole di bronzo nel tempio di Giunone di Capo Lacinio, fece vela per l'Africa. Il suo arrivo a Cartagine ridiede il vantaggio al partito della guerra che lo pose alla testa delle truppe, un misto di milizie cittadine e dei suoi veterani e mercenari.

Nel 202 a.C., dopo un'inutile conferenza di pace con Scipione, si scontrò con lui nella Battaglia di Zama. Scipione ormai conosceva le tattiche dell'avversario e le usò contro il loro inventore. La cavalleria numidica di Massinissa sbaragliò quella cartaginese. Inoltre le disaggregate forze cartaginesi non poterono reggere al confronto con l'esercito romano, ottimamente addestrato e disciplinato. La sconfitta di Annibale a Zama pose fine alla residua resistenza di Cartagine e alla Seconda guerra punica.

  Raffigurazioni storiche

  Annibale a Cartagine (201-195 a.C.)

Annibale aveva appena 46 anni e dimostrò di saper essere non solo un condottiero, ma anche un uomo di stato. Dopo un periodo di oscuramento politico, nel 195 a.C. tornò al potere come suffeta (capo del governo). Il titolo era diventato abbastanza insignificante, ma Annibale gli ridiede potere e prestigio.

L'economia cartaginese, pur se deprivata degli introiti del commercio, stava riprendendo vigore con un'agricoltura specializzata. Annibale tentò una riforma dello Stato per incrementare le entrate fiscali, ma l'oligarchia, sempre gelosa di lui, tanto da accusarlo di aver tradito gli interessi di Cartagine quando era in Italia, evitando di conquistare Roma quando ne aveva avuto la possibilità, lo denunciò ai sempre sospettosi romani.

  L'esilio

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Guerra contro Antioco III e lega etolica.

Annibale preferì scegliere un volontario esilio. Prima tappa fu Tiro, la città-madre di Cartagine. Dopo fu a Efeso alla corte di Antioco III, re dei Seleucidi. Questo re stava preparando una guerra a Roma. Annibale si rese subito conto che l'esercito siriaco non avrebbe potuto competere con quello romano. Consigliò quindi di equipaggiare una flotta e portare un esercito nel sud Italia aggiungendo che ne avrebbe preso lui stesso il comando. Antioco III, però ascoltò piuttosto cortigiani e adulatori e non affidò ad Annibale nessun incarico importante. Nel 190 a.C. Annibale fu posto al comando della flotta fenicia, ma fu sconfitto in una battaglia alle foci dell'Eurimedonte.

Dalla corte di Antioco che sembrava pronto a consegnarlo ai Romani, Annibale fuggì per nave fino a Creta. È celebre l'aneddoto del suo inganno; i Cretesi non volevano lasciarlo più partire a meno che non lasciasse nel loro tempio principale l'oro che aveva con sé come offerta votiva. Egli allora finse di acconsentire. Consegnò un grosso quantitativo di ferro appena ricoperto da un sottile strato d'oro e trafugò invece le sue barre fondendole e nascondendole all'interno di statue di magnifica fattura che egli portava sempre con sé e che i Cretesi gli permisero di portar via. Da Creta quasi subito ritornò in Asia.

Racconta Plutarco che Annibale si spinse a cercare rifugio nel lontano regno del re Artassa, nell'attuale Armenia, dando molti consigli al proprio ospite, tra l'altro sulla costruzione di un nuova città in una zona del territorio di natura eccellente e assai amena, ma incolta e trascurata. Artassa fu ben felice di conferire l'incarico di dirigere i lavori al condottiero cartaginese, che diede prova di ottimo urbanista, contribuendo all'edificazione della nuova capitale degli Armeni, nei pressi del fiume Mezamòr, a nord del monte Ararat, che prese il nome (in onore del sovrano) di Artaxana; conosciuta per tutta l'antichità e presente a lungo nelle carte geografiche, è oggi quasi del tutto scomparsa.

In seguito Annibale tornò a volgersi ad Occidente, chiedendo rifugio a Prusia, il re di Bitinia, nell'attuale Anatolia. Qui fece costruire la seconda città dopo Artaxana, che chiamò, ancora una volta in onore del proprio ospite, Prusia – di cui ancora rimangono le vestigia dell'Acropoli – che in seguito diventerà Bursa, futura prima capitale dell'Impero Ottomano.

La parabola del Condottiero si conclude proprio in Bitinia, nei pressi di Lybissa, l'attuale Gebze, 40 km a est di Bisanzio. Secondo Nepote, un legato Bitinico informò per errore Flaminio della presenza di Annibale in Bitinia (Nep., Hannibal, XII). Ancora una volta i Romani sembrarono determinati nella sua caccia e inviarono Flaminio per chiedere la sua consegna. Prusia accettò di consegnarlo loro, ma Annibale scelse di non cadere vivo nelle mani del nemico. A Libyssa sulle spiagge orientali del Mar di Marmara prese quel veleno che, come diceva, aveva a lungo conservato in un anello.

Curioso (ma non si sa quanto veritiero) a questo punto l'oracolo che, in giovane età, lo aveva sempre convinto che sarebbe morto in Libia, a Cartagine e che citava testualmente: "Una zolla libyssa (libica) ricoprirà le tue ossa". Immaginiamo quale fosse il suo stupore quando apprese il nome di quella lontana località in cui si era rifugiato. Le sue ultime parole si dice fossero: "Poiché i Romani non hanno tempo di aspettare la morte di un vecchio, vediamo di fare loro questo favore". L'esatta data della sua morte è fonte di controversie. Generalmente viene indicato il 182 a.C. ma, come sembra potersi dedurre da Tito Livio, potrebbe essere stato il 183 a.C., lo stesso anno del suo vincitore: Scipione l'Africano.

A Gebze, più precisamente 40º 46' 57" N 29º 26' 30" E, si trova un monumento che ricorda il grande Annibale. Tale monumento fu voluto nel 1934 da Mustafa Kemal Atatürk (padre della patria turca), e realizzato dopo la sua morte. Tale monumento porta incisa tale epigrafe:

« Annibale 247 a.C. – 183 a.C.
Questo monumento è stato costruito come espressione di apprezzamento per il grande generale nel centesimo anniversario della nascita di Atatürk. Annibale sconfisse i romani dopo aver ricevuto come rinforzi degli elefanti a Barletta. Quando seppe che Prusia re di Bitina stava per consegnarlo al nemico, si suicidò a Libyssa (Gebze) nel 183 a.C. »

  Annibale nella Storia

  Fonti antiche

Lo storico romano Tito Livio, che descrisse vizi e virtù del grande condottiero cartaginese, di lui ricorda che:

« Massima era la sua audacia nell'affrontare i pericoli, massima la sua prudenza negli stessi, da nessun disagio il suo corpo poteva essere affaticato, né il suo coraggio poteva essere vinto. [...] Era Annibale il primo tra i fanti ed i cavalieri. Egli nell'avviarsi alla battaglia precedeva tutti, e finito lo scontro tornava per ultimo»

Egli aveva però anche notevoli vizi secondo lo storico:

« ...una feroce crudeltà, una perfidia più che cartaginese, niente di vero o santo, nessun rispetto per la religione, nessun timore per gli dei, nessuno per il giuramento»

La figura di Annibale ha sofferto di una storica distorsione. I soli scritti su di lui sono le fonti romane, ovviamente molto ostili, in quanto Roma lo considerò il peggior nemico che abbia dovuto fronteggiare.

Le accuse al cartaginese si rivelano alquanto ipocrite. Quando al Lago Trasimeno morì il console Gaio Flaminio, Annibale ne cercò invano il corpo sul campo di battaglia. In un'altra occasione le ceneri del console Marcello furono restituite alla famiglia. Ma quando Marco Livio Salinatore e Gaio Claudio Nerone sconfissero Asdrubale alla Battaglia del Metauro, la testa del fratello di Annibale fu gettata nel campo cartaginese. Non sembra che Annibale fosse più crudele di così, ma l'immagine persiste.

Cicerone quando parlava dei due grandi nemici di Roma usò per Pirro il termine "onorevole", mentre definiva "crudele" Annibale. Per contro ricordiamo che Polibio, pur essendo ostaggio greco a Roma, entrato nel circolo degli Scipioni – acerrimi nemici del cartaginese – ne ha sempre esaltato la figura. Anche Tito Livio traccia un ritratto più equilibrato del grande nemico.

  Fonti moderne

Hannibal.jpg

Il nome di Annibale è molto conosciuto nella cultura popolare, a dimostrazione della sua importanza nella storia del mondo occidentale. L'autore dell'articolo nell'Enciclopedia Britannica del 1911 così lo descrive:

« Sul genio militare di Annibale non vi possono essere due opinioni. Un uomo che per quindici anni riesce a tenere il campo in una terra ostile e contro potenti forze guidate da una serie di abili generali deve essere un comandante e uno stratega supremo. Per stratagemmi e imboscate certamente superò tutti i generali dell'antichità. Senza dimenticare lo scarso aiuto fornitogli dalla madrepatria. Quando dovette fare senza i suoi veterani, organizzò sul momento truppe fresche. Non abbiamo mai sentito di ammutinamenti nei suoi eserciti anche se composti di Libici, Iberici e Galli. E ancora; tutto quello che sappiamo di lui proviene da fonti ostili. I Romani lo hanno tanto temuto e odiato che non poterono rendergli giustizia. Tito Livio parla di sue grandi qualità ma anche di suoi egualmente grandi vizi, fra cui segnala la sua più che punica perfidia e l'inumana crudeltà. Per la prima non vi era altra giustificazione della sua consumata bravura nelle imboscate. La seconda deriva, noi crediamo, dal fatto che in certi casi si comportò come le usanze belliche dell'epoca consentivano. Certo non arrivò alla brutalità di Claudio Nerone con la testa di Asdrubale. Polibio dice semplicemente che fu accusato di crudeltà da Romani e di avarizia dai Cartaginesi. In effetti Annibale ebbe acerrimi nemici e la sua vita fu una continua lotta contro il destino »
  Banconota raffigurante Annibale

Inoltre Annibale fu l'eroe preferito di Sigmund Freud, come egli stesso riferisce ne l'interpretazione dei sogni, perché rappresentarebbe il conflitto tra la tenacia degli ebrei e la Chiesa Cattolica.[19].

  Cinematografia

  Note

  1. ^ Lancel, Serge (1995) Hannibal cover: "Roman bust of Hannibal. Museo Archeologico Nazionale. Naples".
  2. ^ M.Bocchiola/M.Sartori, Canne. Descrizione di una battaglia, p. 58.
  3. ^ Polibio, Storie, pp. 650 e 655.
  4. ^ B.H. Liddell Hart, Scipione Africano, pp. 217-240. Lo storico militare britannico analizza in dettaglio le qualità di questi quattro condottieri e definisce Annibale "il massimo tattico della storia", mentre considera Napoleone il più grande "stratega logistico" di tutti i tempi. Nel complesso però afferma che Scipione Africano era fornito di qualità pari, se non superiori, agli altri massimi condottieri.
  5. ^ a b Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 2, 1.
  6. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 2, 3.
  7. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 2, 3-5 e 7.
  8. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 2, 6.
  9. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 3, 1.
  10. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 4, 1.
  11. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 3-4.
  12. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 5-6.
  13. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 7-8.
  14. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 9-17.
  15. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, XXI, 5, 2.
  16. ^ A Spoleto, l'ingresso dal lato nord della antica cinta muraria romana reca ancora il nome di Porta Fuga, in ricordo dell'episodio che vide gli spoletini mettere in fuga i soldati di Annibale. Scrive Tito Livio: "Attraversa l'Umbria e arriva a Spoleto. Dopo aver devastato il suo territorio, cerca di occupare la città; respinto dopo una carneficina dei suoi soldati, e ritenendo dal poco successo del tentativo contro una piccola colonia, che una città come Roma gli avrebbe opposto ingenti forze, si dirige verso il Piceno".
  17. ^ T. Mommsen, Storia di Roma antica, Volume I, tomo 2, pp. 747-749.
  18. ^ Polibio, Storie, p. 274.
  19. ^ Sigmund Freud, L'Interpretazione dei sogni [1899].

  Bibliografia

  • Giovanni Brizzi, Annibale, strategia e immagine, ediz. Provincia di Perugia, Città di Castello, 1984.
  • Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, Bologna 1997. ISBN 88-555-2419-4
  • Giovanni Brizzi, Annibale. Come un'autobiografia, Milano, Bompiani, 2003, ISBN 88-452-9253-3.
  • Giovanni Brizzi, Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma, Roma-Bari 2007, ISBN 978-88-420-8332-0.
  • Karl Christ, Annibale, Salerno editrice, Roma, 2005
  • V. Costanzi, voce «Annibale» in AA.VV., Enciclopedia Biografica Universale, Roma, Ist. Enc. Ital., 2006, pp. 544–551.
  • Gianni Granzotto, Annibale, Oscar Mondadori 1980
  • G. Haefs, Annibale. Il romanzo di Cartagine, Marco Tropea Editore 1997
  • Serge Lancel, Annibale, Jouvence, Roma, 1999
  • C. Nepote, Hannibal
  • G. Picard, Annibale, Orsa Maggiore Editrice 1980
  • A. Piganiol, Le conquiste dei Romani, Milano 1989
  • P. Proserpio, Le battaglie di Annibale, Varesina Grafica Editrice 1971
  • P. Rumiz, Annibale. Un viaggio, Feltrinelli Editore 2008
  • (EN) H.H. Scullard, Carthage and Rome, Cambridge, 1989.
  • David Anthony Durham Annibale, Piemme editori, Casale Monferrato, 2005 ISSN 1825-1102

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