definición y significado de Judo | sensagent.com


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Definición y significado de Judo

Definición

definición de Judo (Wikipedia)

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Sinónimos

judo (n.m.)

giudò, jujitsu

Ver también

judo (n.)

judoista, judoka

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Frases

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Diccionario analógico

Wikipedia

Judo

                   
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  Jigoro Kano (a destra) e Kyuzo Mifune (a sinistra)

Il Judo (柔道 Jūdō?, Via della Gentilezza) è un'arte marziale, uno sport da combattimento ed un metodo di difesa personale giapponese formalmente nato in Giappone con la fondazione del Kōdōkan da parte del Prof. Jigorō Kanō, nel 1882. I praticanti di tale disciplina sono denominati judoisti o più comunemente judoka (柔道家 jūdōka?), con un certo abuso di linguaggio.[1]

« Il jūdō è la via (道) più efficace per utilizzare la forza fisica e mentale. Allenarsi nella disciplina del jūdō significa raggiungere la perfetta conoscenza dello spirito attraverso l'addestramento attacco-difesa e l'assiduo sforzo per ottenere un miglioramento fisico-spirituale. Il perfezionamento dell'io così ottenuto dovrà essere indirizzato al servizio sociale, che costituisce l'obiettivo ultimo del jūdō.[2]
Jū (柔) è un bellissimo concetto riguardante la logica, la virtù e lo splendore; è la realtà di ciò che è sincero, buono e bello. L'espressione del jūdō è attraverso il waza, che si acquisisce con l'allenamento tecnico basato sullo studio scientifico.[3] »
(Jigorō Kanō)

Il jūdō è in seguito divenuto ufficialmente disciplina olimpica nel 1964, in occasione dell'Olimpiade di Tōkyō, e ha rappresentato all'Olimpiade di Atene 2004 il terzo sport più universale, con atleti da 98 paesi.

Indice

  Descrizione

  "Jūdō" in kanji

Il termine "jūdō" è composto da due kanji: 柔 (, yawara = gentilezza, adattabilità, cedevolezza) e 道 ( = via); ed è quindi traducibile anche come via dell'adattabilità, o via della gentilezza;[4] esplicitando così il principio yawara (?) sul quale si basa il jūdō.

« Il termine "jūdō" è stato usato in tempi remoti antecedenti alla restaurazione Meiji, ma generalmente si preferiva dire "jū-jutsu", o più comunemente "yawara", che compendia il precedente: l'uno richiamandosi all'agilità vera e propria e l'altro alle tecniche di attacco e difesa.[5] »
(Jigorō Kanō)

Il jūdō del Prof. Kanō è l'evoluzione del jū-jutsu della Tenshin Shin'yo-ryũ e della Kitō-ryũ.

  Origini del jūdō

  Contesto storico-politico

Il contesto storico era particolare: Il 1853 aveva segnato una data importante per il Giappone: il commodoro Matthew C. Perry, della Marina Militare degli Stati Uniti d'America, entra nella baia di Tokyo con una flotta di 4 navi da guerra (le cosiddette Navi Nere) consegnando a dei rappresentanti dello shogunato Tokugawa un messaggio col quale si chiedevano l'apertura dei porti e trattati commerciali. Il Giappone, che fino a quel momento aveva vissuto in completo isolamento dal resto del mondo (Sakoku), grazie alla Convenzione di Kanagawa, apre finalmente le frontiere agli stranieri. Dopo l'abdicazione dell'ultimo shogun Tokugawa Yoshinobu avvenuta nel 1867, il potere imperiale di fatto riacquisiva il controllo politico del Paese, e contestualmente alla Restaurazione Meiji, la promulgazione dell'editto del 1876 col quale si proibiva il porto del daishō decretava la scomparsa della casta dei samurai.

Scrive Troni: «Agli ex daimyō il governo assegnò titoli nobiliari di varia classe, a seconda della importanza delle loro famiglie ed una indennità pecuniaria proporzionale alle loro antiche rendite, in buoni del tesoro. Venne infine dichiarata la eguaglianza fra le quattro classi dei samurai, contadini, artigiani e mercanti. I corpi armati dei samurai vennero sciolti [...] e si determinò una nuova divisione delle classi sociali che si distinsero infatti in: nobiltà, borghesia, e popolo. Fra le molte riforme [...] bisogna ancora ricordare l'adozione del sistema metrico decimale e del calendario gregoriano.»[6]

Vi furono importanti cambiamenti culturali nella vita dei giapponesi dovuti all'assorbimento della mentalità occidentale e naturalmente ciò provocò un rigetto di tutto ciò che apparteneva al passato, compresa la cultura guerriera che tanto aveva condizionato la vita del popolo durante il periodo feudale. Il jū-jutsu, essendo parte integrante di questa cultura, lentamente scomparve quasi del tutto. Inoltre, le arti marziali tradizionali vennero ignorate anche a causa della diffusione delle armi da fuoco e molti dei numerosi dōjō allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi; i pochi rimasti erano frequentati da ex-samurai lottatori professionisti pagati appunto per combattere (essendo il loro unico mezzo di sostentamento) e che talvolta venivano coinvolti in episodi di violenza o crimini. Questo influenzò ulteriormente il giudizio negativo del popolo nei confronti del jū-jutsu nel quale vedeva un'espressione di violenza e sopraffazione.

« Per la nuova disciplina che volevo diffondere ho evitato di proposito anche i nomi tradizionali fino ad allora largamente usati, quali "jū-jutsu", "tai-jutsu", "yawara", ... e ho adottato "jūdō". I motivi per cui ho voluto evitare le denominazioni tradizionali erano più d'uno. A quel tempo molti avevano del jū-jutsu o del tai-jutsu un concetto diverso da come io li intendevo; non pensando minimamente a un beneficio fisico e mentale, li collegavano immediatamente ad azioni violente come strangolamenti, lussazioni, fratture, contusioni e ferite... Era un'epoca in cui le trasformazioni sociali costringevano gli uomini di spada e del jū-jutsu, un tempo celebri, ad affrontare un nuovo modo di vivere, perché venivano perdendo la protezione dei potenti feudatari, tanto che qualcuno di essi, dedicandosi al commercio a cui non era educato, a volte cadeva in una vita misera di vagabondo, mentre altri, per sbarcare il lunario, dovevano esibire le loro capacità senza pudore. Perciò, quando si parlava di arte della spada o di jū-jutsu, nessuno immaginava che si trattasse della preziosissima disciplina che tramandava la quintessenza della cavalleria samurai. Queste cose mi indussero a rinnovare almeno il nome della disciplina, altrimenti mi sarebbe risultato difficile anche trovare degli allievi che vi si dedicassero.[7] »
(Jigorō Kanō)

  Jigorō Kanō ed il jū-jutsu

La storia del jūdō ed il jūdō stesso sono inseparabili dal fondatore, Jigorō Kanō. Nato nel 1860 in una famiglia agiata, nel 1877, sebbene in contrasto con le idee del padre al riguardo, entrò in contatto con il suo primo maestro Fukuda Hachinosuke di Tenshin-shin'yo ryū jū-jutsu tramite il "conciaossa" Yagi Teinosuke anch'egli un tempo jū-jutsuka della stessa ryũ.

« Tenshin-shin'yo è una scuola nata da Iso Mataemon unendo i metodi di Yoshin-ryu e Shin-no-shindo-ryu. Nell'infanzia il nome del Fondatore era Okayama Hachirogi, divenuto Kuriyama Mataemon alla maggiore età, e finalmente era stato adottato dalla famiglia Ito ed assunto dal Bakufu col titolo di Iso Mataemon Ryu Kansai Minamoto Masatari. »
(Jigoro Kano)

Inoltre, come spiega Sanzo Maruyama, il nome della scuola deriva da «yo, che significa "salice" e shin che significa "spirito". La scuola dello spirito come il salice si ispira alla flessibilità dell'albero», «questa scuola studiava atemi, torae e shime, principalmente in costume di città. Non dava importanza alle proiezioni.»[8]

Nel 1879, Fukuda propose al giovane Kanō di partecipare all'esibizione di jū-jutsu per il Presidente degli Stati Uniti Ulysses Simpson Grant, dove i maestri Iso e Fukuda avrebbero dato una dimostrazione del kata mentre Kanō e Ryusaku Godai del randori. Il Presidente fu molto colpito dall'esibizione e confidò allo stesso Fukuda che avrebbe voluto che il jū-jutsu divenisse più popolare negli Stati Uniti.

Alla morte del cinquantaduenne maestro Fukuda, nove giorni dopo la famosa esibizione, e ricevuti formalmente dalla vedova di Fukuda i densho, Kano divenne il maestro del dojo.

Dopo poco Kano si iscrisse al dojo di Iso Masatomo, discepolo di Iso Mataemon fondatore dello stile, che fu felice di prenderlo come suo assistente. Il maestro Iso insegnava principalmente i kata e gli atemi-waza.

In seguito alla morte del maestro Iso e al raggiungimento della laurea in Lettere presso l'Università Imperiale di Tokyo nel 1881, Kanō si trovò nuovamente alla ricerca di un nuovo maestro. Chiese quindi dapprima al maestro Masaki Motoyama un rispettato maestro della Kitō ryū, ma questi non essendo più in grado di insegnare data l'età, gli suggerì di fare richiesta al maestro Tsunetoshi Iikubo, amico di Motoyama ed esperto di kata e di nage-waza.

Scrive Watson: «Ci sono molte differenze degne di rilievo tra lo stile Tenshin Shin'yō e lo stile Kitō. Ad esempio, il Tenshin Shin'yō possiede un maggior numero di tecniche di strangolamento e di immobilizzazione rispetto al Kitō, mentre quest'ultimo ha sempre avuto tecniche di proiezione di maggior efficacia.»[9]

« Dopo due anni di studio e allenamento, iniziati attorno al 1878, il mio fisico cominciò a trasformarsi e al termine di tre anni avevo acquisito una notevole robustezza muscolare. Sentivo leggerezza nell'animo e m'accorgevo che il carattere alquanto irascibile che avevo da ragazzo diveniva sempre più mite e paziente e che la mia indole acquistava maggiore stabilità. Non si trattava solo di questo: ero consapevole di aver guadagnato benefici sul piano spirituale. Pertanto, alla conclusione dei miei studi di jū-jutsu, approdai a una mia verità: cioè che questo insegnamento poteva essere applicato a risolvere qualsiasi circostanza in ogni momento della vita, tanto che in me si fece strada la convinzione che tale beneficio psicofisico dovesse essere portato a conoscenza di tutti e non solo riservato a una ristretta cerchia di praticanti.[5] »
(Jigorō Kanō)

  Il Kōdōkan

  Statua di Jigorō Kanō Shihan all'entrata del Kōdōkan di Tōkyō.

Contestualmente all'incarico di docente al Gakushuin, il Prof. Kanō aveva deciso che era giunto il momento di lasciare il suo alloggio studentesco e di fondare un proprio dōjō.

Scrive Barioli: «Nel febbraio 1882 aveva affittato un alloggio nel tempio di Eishō, a Shitaya-kita, nel quartiere Umebori[10]

E Watson precisa: «In un quartiere di Tōkyō conosciuto come Shitaya-kita Inarichō, trovò un tempio buddhista chiamato Eishōji che aveva a disposizione varie stanze vuote da prendere in affitto. Dopo aver visitato il tempio e contattato l'abate, un monaco di nome Shumpo Asahi, Jigorō decise di affittare tre stanze: la più piccola la tenne per sé, quella media la destinò all'accoglienza dei suoi allievi, e quella più grande la trasformò in un dōjō con un tatami costituito da dodici tappetini.»[11]

Per inciso, l'Eishōji secondo l'odierna toponomastica è a Inarichō nell'area metropolitana di Tōkyō, nelle vicinanze del quartiere di Ueno,[12] mentre l'attuale sede del Kōdōkan, costituita da ben otto piani e operativa dal 1958, è ubicata a Kasuga, Bunkyo-ku, sempre nell'area metropolitana di Tōkyō.[13]

Il Prof. Kanō riprese allora il termine "jūdō", che Terada Kan'emon, il quinto sōke della Kitō-ryū, aveva coniato quando aveva creato il proprio stile e fondato la sua scuola, la Jikishin-ryū,[14][15] ma che, come lo stesso Kanō fa notare, «esisteva anche prima della Restaurazione Meiji (un esempio ne è la scuola Chokushin-jūdō).»[16] Lo stile venne conosciuto anche come Kanō jū-jitsu o Kanō jū-dō, poi come Kōdōkan jū-dō o semplicemente jū-dō o jūdō. Nel primo periodo, venne anche chiamato semplicemente jū-jitsu.[17]

A sostegno della scientificità del metodo Kanō, scrive Shun Inoue:

(EN)
« From the beginning of the Kōdōkan, rather than wedding himself to any one school, Kanō created a new, "scientific" martial art by selecting the best techniques of the established schools of jūjutsu. Initially, he combined wrestling moves and techniques of delivering blows to vital points of the body emphasized in the Tenjin Shin'yō school with throwing techniques that were mainstay of the Kitō school. But Kanō did not limit his research to the techniques of these two schools. [...]
In addition to utilizing scientific principles, Kanō pioneered a new mode of instruction and a new relationship between teacher and student. [...]
Kanō, a rationalist, believed in the power of science and wanted Kōdōkan jūdō to be grounded in a scientific thought.
« Of course it was not possible to thoroughly investigate every technique of Kōdōkan jūdō on a scientific basis. But on the whole, because they were fashioned in accord with science, their superiority to older schools was readily apparent.[18]  »
(Jigorō Kanō)
Kanō makes it sound as if the development and diffusion of Kōdōkan jūdō were a "victory of science".[19] »
(IT)
« Dagli inizi del Kōdōkan, invece di legarsi ad una sola scuola, Kanō creò una nuova, "scientifica", arte marziale selezionando le migliori tecniche delle scuole di jūjutsu. Inizialmente egli combinò azioni di lotta e tecniche di colpo ai punti vitali proprie della Tenshin Shin'yō-ryū con le tecniche di proiezione predilette dalla Kitō-ryū. Ma Kanō non limitò la sua ricerca alle sole tecniche di queste due scuole. [...]
In aggiunta all'utilizzo dei principî scientifici, Kanō fu pioniere di un nuovo metodo d'insegnamento e di una nuova concezione di rapporto tra insegnante e allievo. [...]
Kanō, un razionalista, credeva nel potere della scienza e volle che il Kōdōkan judo avesse un fondamento scientifico.
« Ovviamente non fu possibile esaminare a fondo ogni tecnica del Kōdōkan jūdō su basi scientifiche. Ma in generale, poiché esse erano modellate secondo principî scientifici, la loro superiorità rispetto alle vecchie scuole fu subito evidente. »
(Jigorō Kanō)
Kanō la mette proprio come se lo sviluppo e la diffusione del Kōdōkan jūdō fossero una "vittoria della scienza". »
(Shun Inoue)

Riguardo ai membri del primo Kōdōkan scrive ancora Watson: «Il primo allievo di Jigorō nel nuovo dōjō fu Tsunejirō Tomita, un giovane proveniente dalla penisola di Izu, nella prefettura di Shizuoka» e «il secondo allievo ad essere ammesso al dōjō fu un ragazzo di nome Shirō Saigō, che in seguito sarebbe diventato uno dei migliori jūdōka della sua generazione. Tra gli altri allievi che si unirono alla scuola di Kanō vi furono vari colleghi universitari di Jigorō, studenti ed ex-studenti della Gakushūin, e alcuni suoi amici.»[20] Inoltre i rapporti con il maestro Iikubo non si erano certo interrotti, anzi, Kanō accettava di buon grado le visite del sōke della Kitō-ryū sia dal punto di vista tecnico, in quanto gli allievi potevano apprendere direttamente da Iikubo i particolari del suo jū-jutsu, sia ovviamente dal punto di vista personale per la profonda stima che ognuno aveva dell'altro. Tuttavia il padrone del tempio, il signor Asahi, prete del Jodo-shinsu, la più antica setta buddhista del Giappone,[21] a causa dei rumori dovuti alla pratica, più volte dovette redarguire Kanō e i suoi, finché non si decise di costruire il primo vero e proprio dōjō esterno ai locali del tempio.

Il jūdō quindi, strettamente all'arte del combattimento, venne completamente collaudato durante il periodo a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Il riconoscimento della sua eccellenza pratica e teorica nell'ambito del bujutsu senz'armi contribuì a salvare molte altri ryu e metodi dall'oblio, nonostante il periodo storico non certamente favorevole. Già nel 1905, infatti, gran parte delle vecchie scuole di jūjutsu si era integrata con il Kōdōkan contribuendo così allo sviluppo e alla diffusione del metodo Kanō in tutto il mondo.[22]

  La filosofia del Kōdōkan jūdō

Nel 1882 Jigorō Kanō era docente di inglese ed economia alla Gakushūin.[23] Dotato di straordinarie capacità pedagogiche, intuì l'importanza dell'attività motoria e dell'addestramento al combattimento, se insegnati adeguatamente per lo sviluppo fisico ed intellettuale dei giovani.

« Il jū-jutsu tradizionale, come tante altre discipline del bu-jutsu, poneva l'obiettivo strettamente ed esclusivamente sull'attacco-difesa. È probabile che molti maestri abbiano anche impartito anche lezioni sul significato della Via e altrettanto sulla condotta morale, ma, adempiendo il loro dovere di insegnanti, la meta primaria rimaneva quella di insegnare la tecnica. Diverso è invece il caso del Kōdōkan, dove si dà importanza anzitutto all'acquisizione della Via e la tecnica viene concepita unicamente come il mezzo per raggiungere tale obiettivo. Il fatto è che le ricerche sul jū-jutsu mi portarono verso una Grande Via che pervade l'intero sistema tecnico dell'arte, mentre lo sforzo e i tentativi per definire l'entità della scoperta mi convinsero chiaramente dell'esistenza della Via Maestra, che ho definito come "la migliore applicazione della forza mentale e fisica".[24] »
(Jigorō Kanō)

Quindi, Jigorō Kanō Shihan eliminò dal randori tutte le azioni di attacco armato e di colpo, che potevano portare al ferimento (talvolta grave) degli allievi: tali tecniche furono ordinate solo nei kata, in modo che si potesse praticarle senza pericoli. Ed infatti, una delle caratteristiche fondamentali del jūdō è la possibilità di effettuare una tecnica senza che i praticanti si feriscano. Ciò accade grazie alla concomitanza di diversi fattori quali l'abilità di uke nel cadere, la corretta applicazione della tecnica da parte di tori, e alla presenza del tatami che assorbe la caduta di uke. Nel combattimento reale, come può essere una situazione di pericolo contro un aggressore armato o non, una tecnica eseguita correttamente potrebbe provocare gravi menomazioni o finanche essere fatale.

Difatti non bisogna mai dimenticare il retaggio marziale del jūdō: il Prof. Kanō studiò e approfondì le nage-waza della Kitō-ryū, le katame-waza e gli atemi-waza di Tenshin Shin'yō-ryū e costituì un suo personale sistema di educazione al combattimento efficace e gratificante, supportato da forti valori etici e morali mirati alla crescita individuale e alla formazione di persone di valore.

Scrive Barioli: «Questa è la diversità di concezione tra il jūjutsu e il jūdō. Dalla tecnica e dalle esperienze del combattimento sviluppate nel periodo medievale, arrivare tutti insieme per crescere e progredire col miglior impiego dell'energia, attraverso le mutue concessioni e la comprensione reciproca.»[25] Questa fu la vera evoluzione rispetto al jūjutsu che si attuò anche attraverso la formulazione dei principî fondamentali che regolavano la nuova disciplina: seiryoku-zen'yō (精力善⽤? "il miglior impiego dell'energia") e jita-kyō'ei (⾃他共榮? "tutti insieme per il mutuo benessere").

Le otto qualità essenziali sulle quali si poggia il codice morale del fondatore, alle quali ogni judoista (jūdōka) dovrebbe mirare durante la pratica e la vita di tutti i giorni sono:

  • L'educazione
  • Il coraggio
  • La sincerità
  • L'onore
  • La modestia
  • Il rispetto
  • Il controllo di sé
  • L'amicizia

Mentre i tre nemici che ogni judoka dovrebbe tenere lontano sono:

  • la noia
  • l'abitudine
  • l'invidia

Per ottenere ciò, nell'ottica educativa della disciplina, è necessario impiegare proficuamente le proprie risorse, il proprio tempo, il lavoro, lo studio, le amicizie, allo scopo di migliorarsi continuamente nella propria vita e nelle relazioni con gli altri, conformando cioè la propria vita al compimento del principio del "miglior impiego dell'energia". Si stabilì così l'alto valore educativo della disciplina del judo, unita alla sua grande efficacia nel caso venisse impiegato per difendersi dalle aggressioni.

Il judo mira a compiere la sintesi tra le due tipiche espressioni della cultura giapponese antica e cioè Bun-bu, la penna e la spada, la virtù civile e la virtù guerriera: ciò si attua attraverso la pratica delle tre discipline racchiuse nel judo, chiamate rentai (cultura fisica), shobu (arti guerriere), sushin (coltivazione intellettuale).

Il judo conobbe una straordinaria diffusione in Giappone, tanto che non esisteva una sola città che non avesse almeno un dojo. Parallelamente si diffuse nel resto del mondo grazie a coloro che avevano modo di entrare in contatto col Giappone; furono principalmente commercianti e militari che lo appresero, importandolo poi nel loro paese d'origine. Non meno importante fu la venuta in Europa intorno al 1915 di importanti maestri giapponesi, allievi diretti di Jigoro Kano, che diedero ulteriore impulso allo sviluppo del judo, tra cui Gunji Koizumi in Inghilterra nel 1920 e Mikonosuke Kawaishi in Francia.

Jigoro Kano morì nel 1938, in un periodo in cui il Giappone, mosso da una nuova spinta imperialista, si stava avviando verso la seconda guerra mondiale. Dopo la disfatta, la nazione venne posta sotto il controllo degli USA per dieci anni e il judo fu sottoposto ad una pesante censura poiché catalogato tra gli aspetti pericolosi della cultura giapponese che spesso esaltava la guerra. Fu perciò proibita la pratica della disciplina ed i numerosi libri e filmati sull'argomento vennero in gran parte distrutti. Il judo venne poi "riabilitato" grazie al CIO (comitato olimpico internazionale) di cui Jigoro Kano fece parte quale delegato per il Giappone, e ridotto a semplice disciplina di lotta sportiva ma i suoi valori più profondi sono ancora presenti e facilmente avvertibili dai partecipanti.

  Ai giorni nostri

  Pittogramma olimpico del Judo

A partire dal dopoguerra, con l'organizzazione dei primi Campionati Internazionali e Mondiali, e successivamente con l'adesione alle Olimpiadi, il judo si è sempre più avvicinato allo sport da combattimento mutuandone le caratteristiche tipiche dell'agonismo proveniente dalle discipline di lotta occidentali.

Si è perciò cominciato a privilegiare la ricerca del vantaggio minimo che permette di vincere la gara, a discapito della ricerca della tecnica perfetta che attribuisce la vittoria immediata, ma che espone a maggiori rischi di subire un contrattacco. Questo è possibile utilizzando tecniche derivate dalla lotta libera che per efficacia in gara si contrappongono alle tecniche tradizionali del judo le quali tradiscono l'indirizzo bujutsu che le caratterizza per vocazione e genealogia.

Questo risvolto, inevitabile, non ha fatto che aumentare con l'entrata in scena, avvenuta negli anni ottanta, degli atleti dell'ex URSS, aventi una lunga tradizione di lotta sambo alle spalle la quale, epurata delle tecniche dei colpi, ben si presta ad un confronto agonistico col judo.

In conseguenza di ciò, si è sviluppata la tendenza a privilegiare un tipo di insegnamento che metta in condizioni gli allievi di guadagnare immediatamente punti in gara, privilegiando talora posizioni statiche del tutto contrarie alla filosofia della via della cedevolezza (che è il significato del termine judo). Purtroppo in questo modo viene spesso tralasciato l'aspetto educativo e formativo della disciplina. Questa pratica è spesso indice di scarsa preparazione degli istruttori, che non comprendono la necessità di fornire un'adeguata base tecnica e morale prima di focalizzarsi sul combattimento vero e proprio.

Allo scopo di riaffermarne il valore, si sono costituite nel tempo Federazioni Sportive anche di carattere internazionale che tendono a far rivivere i principi espressi dal Maestro Jigoro Kano, quantunque anch'esse si dedichino all'attività agonistica. Queste federazioni sono riunite all'interno di Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI, quali, CSI, UISP, CSEN, ACSI, Centro Universitario Sportivo ed altre. In Italia la federazione ufficiale appartenente al CONI è la FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali).

Questo non significa però che vi siano due tipologie di scuole di jūdō dove una si ritenga superiore all'altra. Come scrisse lo stesso Jigorō Kanō: «Anche nel periodo antico esistevano maestri che impartivano nozioni di tipo etico oltre che tecnico: si trattava di esempi illuminati ma che, tenendo fede al loro impegno di maestri, dovevano necessariamente privilegiare la tecnica. Nel jūdō invece gli insegnanti devono percepire la disciplina soprattutto come educazione, fisica e mentale.»[26] Aggiungendo inoltre che «per coloro che si dimostrassero particolarmente portati alla competizione è lecito interpretare sportivamente la disciplina, purché non si dimentichi che l'obiettivo finale è ben più ampio.»[26]

Pertanto, nella scelta del dojo, è importante affidarsi a maestri di provata esperienza che tengano corsi per tutti, quindi sia per l'agonista quanto per l'amatore, indipendentemente dall'ambito della federazione o dell'ente promozionale.

Da una costola del judo, inoltre, si è sviluppata la disciplina del Brazilian jiu jitsu.

  Le tecniche

Secondo il metodo d'insegnamento del Prof. Kanō, il Kōdōkan Jūdō consiste fondamentalmente nell'esercitare la tecnica di combattimento e nella ricerca teorica, entrambe cose elaborate dal principio "yawara".

« Yawara significa adeguarsi alla forza avversaria al fine di ottenere il pieno controllo. Esempio: se vengo assalito da un avversario che mi spinge con una certa forza, non devo contrastarlo, ma in un primo momento debbo adeguarmi alla sua azione e, avvalendomi proprio della sua forza, attirarlo a me facendogli piegare il corpo in avanti [...] La teoria vale per ogni direzione in cui l'avversario eserciti forza.[27] »
(Jigorō Kanō)

Il jūdō offre un ricco repertorio di tecniche di combattimento, categorizzato solitamente come di seguito. Queste tecniche comprendono l'applicazione del principio yawara (non soltanto nel contesto dell'elasticità passiva intesa in senso buddhista, ma anche come principio attivo del contrattacco), enucleano i principi dell'attacco-difesa propri del metodo Kanō e ne dimostrano l'efficacia sia nel combattimento reale, sia nella competizione sportiva.[22]

  Tassonomia del waza

Le tecniche del jūdō del Prof. anō, ed oggi riconosciute ufficialmente dal Kōdōkan Jūdō Institute di Tōkyō, sono così suddivise:

  • Nage-waza
  • Tachi-waza
  • Te-waza
  • Koshi-waza
  • Ashi-waza
  • Sutemi-waza
  • Ma-sutemi-waza
  • Yoko-sutemi-waza
  • Katame-waza
  • Osae-komi-waza
  • Shime-waza
  • Kansetsu-waza
  • Atemi-waza
  • Ude-ate
  • Yubisaki-ate
  • Kobushi-ate
  • Tegatana-ate
  • Hiji-ate
  • Ashi-ate
  • Hiza-gashira-ate
  • Sekitō-ate
  • Kakato-ate

  Nage-waza (tecniche di proiezione)

Secondo la tassonomia tradizionale delle tecniche di jūdō, il gruppo preponderante è quello delle nage-waza (投技? "tecniche di proiezione"). Tali tecniche sono metodi di proiezione dell'avversario atti alla neutralizzazione della carica offensiva di quest'ultimo. L'apprendimento è strutturato secondo un sistema chiamato go-kyō-no-waza che ordina 40 tecniche in 5 classi in base alla difficoltà di esecuzione e alla violenza della caduta. Il totale delle nage-waza ufficialmente riconosciute dal Kōdōkan Jūdō Institute e dall'IJF è di 67 tecniche.

All'interno delle nage-waza si distinguono le tachi-waza (立技?), ovvero le tecniche in cui tori proietta uke rimanendo in una posizione di equilibrio stabile, e le sutemi-waza (捨身技?), ovvero le tecniche in cui tori proietta uke sacrificando il suo equilibrio.

  • Le tachi-waza a loro volta si suddividono in tre gruppi: te-waza (手技?), ovvero le tecniche di braccia; koshi-waza (腰技?), tecniche di anca; e ashi-waza (足技?), tecniche di gambe.[28]
  • Le sutemi-waza a loro volta si suddividono in due gruppi: ma-sutemi-waza (真捨身技?), ovvero le tecniche di sacrificio sul dorso; e le yoko-sutemi-waza (横捨身技?), tecniche di sacrificio sul fianco.[28]

È tuttavia importante sottolineare che tale suddivisione biomeccanica ai fini dell'appartenenza o meno di un waza ad un gruppo, considera l'uso prevalente di una parte del corpo di tori, e non l'uso esclusivo di tale parte.

Alle nage-waza è dedicato il nage-no-kata.

  Katame-waza (tecniche di controllo)

Il secondo macrogruppo è costituito dalle katame-waza (固技? "tecniche di controllo"). Tali tecniche possono essere eseguite nel ne-waza (寝技? "tecnica o combattimento al suolo") in successione ad un nage-waza, ovvero a seguito di un hairi-kata (入り形? "forma d'entrata, opportunità"), oppure –in rari casi– come azioni propedeutiche ad una proiezione.[29]

  • Le katame-waza quindi si suddividono in osae-komi-waza (抑え込み技?), ovvero le tecniche di immobilizzazione al suolo; shime-waza (絞技?), tecniche di strangolamento;[30] e kansetsu-waza (関節技?) tecniche di leva articolare.[31]

Nel caso delle osae-komi-waza si possono distinguere due sottogruppi anche se tale ulteriore suddivisione trascende la tassonomia tradizionale. Esistono quindi immobilizzazioni su quattro punti d'appoggio (shihō-gatame (四方固?)) e le immobilizzazioni "diagonali" (kesa-gatame (袈裟固?)); per quanto concerne gli shime-waza, è anche possibile distinguere ulteriori sottoclassificazioni non ufficiali a seconda della posizione relativa di tori e uke, o alle prese di tori su uke, come nel caso dei jūji-jime (十字絞?); mentre invece, per i kansetsu-waza è possibile riconoscere due sottogruppi principali indicanti uno le leve di distensione (hishigi-gatame (挫固?)), e l'altro le leve di torsione degli arti (garami (?)).

Alle katame-waza è dedicato il katame-no-kata.

  Atemi-waza (tecniche di colpo)

L'ultimo gruppo di tecniche è chiamato atemi-waza (当て身技? "tecniche di colpo") e si divide in: ude-ate (腕当て? "colpi con gli arti superiori") e ashi-ate (足当て? "colpi con gli arti inferiori").[32]

  • Gli ude-ate a loro volta si suddividono in: yubisaki-ate (指先当て? "colpi inferti con la punta delle dita"), kobushi-ate (拳当て? "colpi inferti con il pugno"), tegatana-ate (手刀当て? "colpi inferti col taglio della mano"), ed hiji-ate (肘当て? "colpi inferti con il gomito").[33]
  • Gli ashi-ate a loro volta si suddividono in: hiza-gashira-ate (膝頭当て? "colpi inferti con il ginocchio), sekitō-ate (石塔当て? "colpi inferti con l'avampiede"), e kakato-ate (踵当て? "colpi inferti con il tallone").[34]

Lo stesso Jigorō Kanō spiega gli effetti di tali tecniche: «Un attacco sferrato con potenza contro un punto vitale può dare come risultato dolori, perdita di coscienza, menomazioni, coma o addirittura morte. Le atemi-waza vengono praticate solamente nei kata, mai nel randori[35]

  Ukemi (cadute)

È molto importante per un jūdōka saper cadere senza farsi male, ed infatti le tecniche di caduta sono le prime nozioni che vengono insegnate ai nuovi praticanti. Esistono quattro diversi tipi di cadute:[36]

  • Mae-ukemi (前受身? "caduta in avanti frontale")
  • Zempō-kaiten-ukemi (前方回転受身? "caduta in avanti frontale con rotolamento"),[37] applicabile in due forme: migi (? "destra") e hidari (? "sinistra").
  • Ushiro-ukemi (後ろ受身? "caduta indietro").[38]
  • Yoko-ukemi (横受身? "caduta laterale"),[39] applicabile come zempō-kaiten-ukemi sia a destra che a sinistra.

Il jūdō moderno tende ad interpretare la caduta come una sconfitta, ma in realtà essa è a tutti gli effetti una tecnica per consentire al corpo di scaricare senza danni l'energia cinetica accumulata durante la proiezione. Se male eseguita, possono verificarsi infortuni come lussazioni della spalla, contusioni al capo, ai piedi, ecc.

  Fasi dell'esecuzione del waza

  Kuzushi

La possibilità di poter eseguire con successo una tecnica di proiezione è fondata sull'ottenimento di uno squilibrio kuzushi (くずし?) dell'avversario mediante azioni di spinta o trazione, ovvero tramite azioni ben calibrate atte al raggiungimento dello tsukuri (作り?).

« I movimenti base di kuzushi sono la spinta e la trazione, che vengono eseguiti con tutto il corpo, e non solo con le braccia. L'azione di sbilanciamento può essere eseguita lungo una linea retta o curva, e in ogni direzione. Per neutralizzare ogni tentativo dell'avversario di farci perdere l'equilibrio, bisogna dapprima cedere alla sua azione, e poi applicare il nostro kuzushi.[40] »
(Jigorō Kanō)

Viene definito Happō-no-kuzushi (八方のくずし? "8 direzioni di squilibrio") il sistema di classificazione delle direzioni di squilibrio per il quale è possibile spostare il baricentro del corpo dell'avversario rispetto allo shizentai (自然体? "posizione naturale") nelle 8 direzioni principali disposte idealmente a mo' di rosa dei venti, ossia verso l'avanti, indietro, laterale (destra e sinistra) e in diagonale (destra e sinistra).

  Tsukuri e Kake

(JA)
« 「身体と精神を最も有効に働かせる」、これが柔道の根本原理で、この原理を技の上に生かしたのが「作り」と「掛け」の理論となります。

「作り」は、相手の体を不安定にする「くずし」と、自分の体が技を施すのに最も良い位置と姿勢をとる「自分を作る」ことから成り立っています。「掛け」は、この作られた一瞬に最後の決め手を施すことをいいます。 この「作り」と「掛け」は、柔道の根本原理に従った技術原理ということができます。

互いに、精力善用・自他共栄の根本原理に即した作りと掛けを競い合う間に、自然とこの根本原理を理解し、体得して、社会百般の実生活に生かそうとしています。

「技から道に入る」わけです。[41] »
(IT)
«  Il waza (?) si basa sul principio fondamentale del jūdō, che è seiryoku-zen'yo (精力善用?) ed esso si esprime nella tecnica con le teorie di tsukuri (作り?) e di kake (掛け?).

Tsukuri è preparato dal kuzushi (くずし?) (il quale significa rompere la postura e l'equilibrio del vostro avversario), per mettere il vostro corpo in jibun-wo-tsukuru (自分を作る? "tenersi pronti") al fine di facilitare il vostro attacco. Kake è chiamata l'applicazione dell'ultimo momento decisivo dell'azione tecnica. Tsukuri e kake possono anche essere considerati i principi fondamentali della tecnica del jūdō.

Seiryoku-zen'yo (精力善用?) e jita-kyo'ei (自他共栄?) interessano fortemente l'esercizio di tsukuri e kake e capirne e padroneggiarne la teoria serve ad applicarla a tutte le fasi della vita umana.

Principalmente è Waza-kara-dō-ni-iru (技から道に入る?), entrare nella via passando dal waza. »
(Kōdōkan Jūdō Institute)

I concetti di tsukuri e di kake sono di fondamentale importanza nell'esecuzione delle tecniche. Il primo quindi si esplicita quando si è nella corretta posizione per effettuare la tecnica[42] impiegando meno energia possibile, seguendo il principio del seiryoku-zen'yo (精力善用? "miglior impiego dell'energia"), mentre invece il secondo è traducibile come la realizzazione materiale del gesto tecnico, o talvolta, anche solo come la proiezione.[43]

Il maestro Kyūzō Mifune spiega così entrambi i principî:

(EN)
« TSUKURI AND KAKE (POSITIONING TO THROW AND EXECUTION OF THROW)

Synchronization of arm, leg and hips
Before executing a technique, it is essential to move your body into the correct position after having broken your opponent's balance. –This is called tsukuri. The execution of the technique itself is known as kake.

Because immediate intent and simultaneous action are taught from the beginning, sometimes people understand these to mean that there is a sequence for the actions of the arm, leg, and hips. As a rule, tsukuri precedes kake. Also, the fundamental element to understand is to use the power of your mind to control the arms, legs, and hips, to act in perfect synchronization. –This is essential.[44] »
(IT)
« TSUKURI E KAKE (POSIZIONARSI PER LA PROIEZIONE ED ESECUZIONE DELLA PROIEZIONE

Sincronizzazione di braccia, gambe ed ànche
Prima di eseguire una tecnica, è essenziale spostare il proprio corpo nella posizione corretta dopo aver rotto l'equilibio dell'avversario. Ciò è detto tsukuri. L'esecuzione della tecnica è conosciuta come kake.

Poiché l'intenzione immediata e l'azione simultanea sono insegnate dal principio, talvolta i praticanti intendono che ci sia una sequenza per le azioni di braccia, gambe e ànche. Normalmente, tsukuri precede kake. E inoltre, l'elemento fondamentale da capire è usare la forza della mente per controllare braccia, gambe ed ànche, per agire in perfetto sincronismo. Questo è essenziale. »
(Kyūzō Mifune)

  Principî di esecuzione del waza

  • sen, l'iniziativa;
  • go no sen, il contrasto dell'iniziativa;
  • sen no sen, l'iniziativa sull'iniziativa.

  Sen

Il principio sen (lett: prima) è tutto ciò che riguarda l'attaccare un avversario (uke) mediante tecniche dirette o concatenate (renraku waza, successione). sen si applica in primo luogo tramite azioni di tsukuri mirate a sviluppare l'azione mantenendo l'iniziativa, continuando ad incalzare l'avversario con attacchi continui atti a portare l'avversario in una posizione vulnerabile che permetta di attaccarlo con la tecnica preferita (tokui waza).

  Go-no-sen

Il principio go no sen si attua con l'uso dei bogyo waza (tecniche di difesa). Dette tecniche, applicabili subendo un attacco per contrastarlo, vengono suddivise in chōwa (schivare), go (bloccare), yawara (assecondare).
Scopo delle tecniche di difesa è recuperare una posizione che permetta di controllare la situazione o di condurre un attacco.

  Sen-no-sen

Il principio sen no sen riguarda la controffensiva che tori (colui che agisce) sviluppa nell'istante in cui sta per partire l'attacco di uke(colui che riceve). Dal momento che uke si trova seppur involontariamente in una posizione di precario equilibrio a causa del suo tentativo di tsukuri, occorre anticiparlo prima del suo kake.

L'assidua pratica nel randori (combattimento libero) è fondamentale per sviluppare la capacità di percezione delle azioni dell'avversario. Tale principio realizza il kaeshi, espressione di un modo evoluto di condurre il combattimento in cui si lascia volutamente l'iniziativa all'avversario ma sempre controllando le sue azioni fino a cogliere l'attimo in cui applicare la contro-tecnica.

Bloccare, schivare o assecondare un attacco, cioè utilizzare una tecnica di difesa, può metterci nella condizione di poter condurre con successo un nuovo attacco nei confronti dell'avversario, ma è solamente anticipando l'azione nemica che si realizza correttamente un kaeshi. Negli altri casi, è più corretto parlare di contrattacco (giaku geki) piuttosto che di contro-tecnica (kaeshi waza), quantunque a scopo didattico si preferisca utilizzare sempre il termine kaeshi riferendosi alle azioni di attacco-difesa, allo scopo di non generare confusione negli allievi introducendo un concetto di dubbia comprensione.

In altre parole, si ha un kaeshi quando ad un attacco dell'avversario corrisponde un attacco immediato che lo sovrasta, mentre un contrattacco prevede l'utilizzo di una difesa (chowa, go, yawara) prima di eseguire la tecnica voluta. Per quanto veloce possa essere l'esecuzione, c'è sempre un attimo di rottura nell'azione: nel caso del kaeshi, questa rottura non esiste perché la contro-tecnica anticipa l'azione dell'avversario prima che questi abbia potuto dispiegare per intero il proprio attacco.

  Esercizi d'allenamento

  • Tandoku-renshu: pratica individuale.
  • Uchi-komi: ripetizione delle tecniche con compagno.
  • Nage-komi: esercizi di proiezione.
  • Yaku-soku-geiko: scambio di tecniche in movimento con compagno.
  • Kakari-geiko: esercizi specifici di ruolo.
  • Randori: combattimento libero.
  • Randori shiai: combattimento da competizione.

  I Kata

I kata (?) sono costituiti da esercizi di tecnica e di concentrazione di particolare difficoltà e racchiudono in sé la sorgente stessa dei principî del jūdō. La buona esecuzione dei kata necessita di lunghi periodi di pratica e di studi approfonditi, al fine di apprenderne il senso profondo.

« Prima dell'era Meiji, molti maestri di jū-jutsu insegnavano solo i kata. Ma io ho studiato sia il Tenshin Shin'yo jū-jutsu che il Kitō jū-jutsu, ed entrambi gli stili includono la pratica sia dei kata che del randori. Se dovessi paragonare il jū-jutsu ad una lingua, allora direi che lo studio dei kata può essere associato allo studio della grammatica, mentre la pratica del randori può essere associata alla scrittura. [...] Agli studenti avanzati piace cambiare spesso il compagno di allenamento durante il randori, e molti di loro tendono a trascurare lo studio dei kata. Nell'esecuzione dei kata, tori indietreggia quando viene attaccato da uke, per poi rivolgere la forza dell'avversario contro lui stesso. Questa è la flessibilità del jūdō: una cedevolezza iniziale prima della vittoria finale.[45] »
(Jigorō Kanō)

Scrive inoltre Barioli: «Il signor Kanō riteneva di utilizzare le "forme" per conservare la purezza del jūdō attraverso il tempo e le interpretazioni personali. Ma il barone Ōura, primo presidente del Butokukai, ci vedeva la possibilità (1895) di proporre una base comune alle principali scuole di jūjutsu, per presentare al mondo la tradizione di lotta del grande Giappone.»[46] Ed infatti, come lo stesso Kanō scrive nelle sue memorie, sia il kime-no-kata che il katame-no-kata ed il nage-no-kata furono formalizzati dal Kōdōkan e ratificati (con qualche modifica) dal Dai Nippon Butokukai per un utilizzo su scala nazionale,[47] ed attualmente, su scala mondiale.

Il Kōdōkan Jūdō Institute riconosce come ufficiali i seguenti kata:[48]

L'insieme di nage-no-kata e katame-no-kata viene anche definito randori-no-kata (乱取りの形?) poiché in essi vi sono i principî e le strategie in uso nel randori.

Non ufficialmente riconosciuto dal Kōdōkan Jūdō Institute è il:

Inoltre, non riconosciuti dal Kōdōkan Jūdō Institute in quanto creati ad hoc da maestri o ex-maestri del Kōdōkan in base alle proprie caratteristiche tecniche, sono il:

  Il Dōjō

  Schema dell'interno di un dōjō tradizionale.

Il luogo dove si pratica il jūdō si chiama dōjō (道場? "luogo (di studio) della via"), termine usato anche nel buddhismo giapponese ad indicare la camera adibita alla pratica della meditazione zazen (坐禅?), e per estensione, indica un luogo ove il reihō (礼法? "etichetta") è requisito fondamentale.

« Quando si visita un dōjō per la prima volta, generalmente si rimane colpiti dalla sua pulizia e dall'atmosfera solenne che lo pervade. Dovremmo ricordarci che la parola "dōjō" deriva da un termine buddhista che fa riferimento al "luogo dell'illuminazione". Come un monastero, il dōjō è un luogo sacro visitato dalla persone che desiderano perfezionare il loro corpo e la loro mente.
La pratica del randori e dei kata viene eseguita nel dōjō, che è anche il luogo in cui si disputano le gare di combattimeto.[50] »
(Jigorō Kanō)

Nel dōjō, il jūdō viene praticato su un materassino chiamato tatami (?). Il tatami in Giappone è fatto di paglia di riso, ed è la normale pavimentazione delle abitazioni in stile tradizionale. Fino agli anni settanta circa si è usato anche per la pratica del jūdō, ma oggi, per fini igienici ed ergonomici, si usano materiali sintetici: infatti per la regolare manutenzione del dōjō è importante che i tatami siano facili da pulire, e per consentire ai jūdōka di allenarsi confortevolmente, devono essere sufficientemente rigidi da potervi camminare sopra senza sprofondare ed adeguatamente elastici da poter attutire la caduta.

Il dōjō ha una organizzazione definita in quattro aree principali disposte indicativamente secondo i punti cardinali:

  • Nord: Kamiza (上座? "posto d'onore"), che rappresenta la saggezza, è riservato al sensei (先生?) titolare del dōjō alle spalle del quale è apposta l'immagine di Jigorō Kanō Shihan.
  • Est: Jōseki (上席? "posto degli alti gradi"), che rappresenta la virtù, è riservato ai sempai, agli ospiti illustri, o in generale agli yudansha.
  • Sud: Shimoza (下座? "posto inferiore"), che rappresenta l'apprendimento, è riservato ai mudansha.
  • Ovest: Shimoseki (下席? "posto dei bassi gradi"), che rappresenta la rettitudine, è generalmente vuoto, ma all'occorrenza è occupato dai 6ⁱ kyū.

L'ordine da rispettare è sempre quello per cui, rivolgendo lo sguardo a kamiza, i praticanti si dispongono dai gradi inferiori a quelli superiori, da sinistra verso destra. Il capofila di shimoza, usualmente il più esperto tra i mudansha, di norma è incaricato del rispetto del reihō. In particolare è incaricato di avvisare i compagni di pratica riguardo: l'assunzione della posizione formale in ginocchio seiza (正座? "posizione formale"), del mokusō (黙想? "silenzio contemplativo") e del suo termine yame (止め? "fine"), del saluto al fondatore shōmen-ni-rei (正面に礼? "saluto al principale"), del saluto all'insegnante sensei-ni-rei (先生に礼? "saluto al maestro"), del saluto a tutti i praticanti otagai-ni-rei (お互いに礼? "saluto reciproco"), e del ritorno alla posizione eretta ritsu (? "in piedi").

Nei dōjō tradizionali, inoltre, vi è usualmente uno spazio adiacente alla parete dove vi sono conservate le armi per la pratica dei kata: bokken (木剣? "spada di legno"), tantō (短刀? "pugnale"), (? "bastone"), e kenjū (拳銃? "pistola"); e il nafudakake (名札掛? "tabella dei nomi"), dove sono affissi in ordine di grado i tag di tutti i jūdōka appartenenti al dōjō.

  Il tatami per lo shiai

Il tatami utilizzato nelle competizioni shiai (試合? "gara") deve avere le misure minime di 12×12 m per le classi Esordienti A e B; e di 13×13 m per le classi Cadetti, Juniores e Seniores, ed uno spessore di almeno 4 centimetri. Al centro vi è l'area di combattimento di dimensioni minime di 6×6 m per le classi Esordienti A e B, e di 7×7 m per le classi Cadetti, Juniores e Seniores; e dimensioni massime di 10×10 m. La zona di pericolo di colore rosso di 1 metro di larghezza è stata abolita nel 2007[51] a seguito delle delibere IJF in materia,[52] disponendo così della sola area di combattimento interna e dell'area di sicurezza esterna, quest'ultima di larghezza non inferiore a 3 m.[53]

  Il Jūdōgi

I jūdōka portano una tenuta chiamata Jūdōgi composta da pantaloni di cotone bianco rinforzato soprattutto alle ginocchia (zubon) e una casacca bianca di cotone rinforzato (uwagi) tenuti insieme da una cintura (obi) colorata. Introdotto nel judo per la prima volta, il colore della cintura serve a riconoscere il grado e l'esperienza di un judoka. In gara i contendenti indossano una cintura bianca o rossa da sola o in aggiunta alla propria cintura allo scopo di distinguerli e attribuire i punteggi conquistati in gara. Nei tornei e campionati internazionali ed olimpici uno dei due indossa un judogi di colore blu, per essere meglio distinguibili non tanto dall'arbitro quanto dal pubblico, specialmente televisivo.

  Il sistema di graduazione

Ad ogni praticante viene attribuito un grado che identifica sinteticamente -almeno nelle intenzioni di Jigorō Kanō Shihan- il suo livello tecnico e quindi la conoscenza e l'abilità nel waza, la sua condotta etica e morale, così come la capacità di applicare i principi del jūdō alla vita quotidiana. Jigorō Kanō stesso, in un articolo del 1918, indica i criteri per la promozione di dan:

« La promozione ai vari gradi

Esistono casi in cui è prevista la bocciatura alla classe superiore o il rinvio dell'esame, quando vengono rilevate situazioni di noncuranza o inosservanza delle regole fondamentali che ogni allievo è tenuto a conoscere; oppure di fronte alla constatazione di un procedimento scorretto nella modalità di apprendimento. [...] Nell'esame di promozione rientrano naturalmente anche altre considerazioni, quali il livello di comprensione dei principî del jūdō, l'attitudine comportamentale del candidato, ecc. Ad esempio, di recente abbiamo preso l'iniziativa di inviare a una scuola superiore un regolamento riguardante gli esami di promozione in cui si precisano i seguenti canoni da tenere in considerazione per le valutazioni:

  • Portamento corporeo;
  • Educazione e rispetto dei riti;
  • Capacità tecnica e fisica;
  • Comportamento individuale operoso o indolente.[54] »
(Jigorō Kanō)

La classificazione prevede una divisione tra mudansha, ovvero i non portatori di dan, e gli yudansha, ovvero i portatori di dan. Tale classificazione, ad opera del Prof. Kanō, è una evoluzione del sistema tradizionale basato su onorificenze, ancora in uso al Dai Nippon Butoku Kai, che prevede l'assegnazione di titoli onorifici a seconda dell'esperienza del praticante.

« L'introduzione del nostro sistema di graduazione avvenne subito dopo la fondazione del Kōdōkan nel 1882. Precedentemente le qualifiche variavano da scuola a scuola, ma in genere risultavano suddivise in tre livelli: Mokuroku, Menkyō e Kaiden, con conferimento del rotolo di attestato, che conteneva anche altri dati e raccomandazioni.

Chi riusciva a superare il livello dilettantistico poteva pertanto allinearsi nella qualifica Mokuroku; progredendo ulteriormente e acquistando la competenza didattica, veniva concesso il Menkyō, con l'autorizzazione di insegnare il jū-jutsu della propria scuola; progredendo ancora e con l'acquisizione dell'abilità che si può definire magistrale, finalmente veniva conferito il certificato di Kaiden, contenente la dichiarazione di aver trasmesso al titolare ogni segreto orale e scritto della disciplina.

I gradi erano al massimo cinque, con lunghi intervalli di tempo tra uno e l'altro, cosa che personalmente trovavo controproducente non solo sul piano didattico, ma anche nell'incoraggiare gli allievi.[55] »
(Jigorō Kanō)

L'uso delle cinture, quindi, è stato introdotto sostanzialmente dal Prof. Kanō col fine di esplicitare il grado effettivo del praticante, ma è da attribuire agli occidentali (e più precisamente, prima ai francesi in accordo col metodo di Mikonosuke Kawaishi e successivamente ai brasiliani con i fratelli Carlos ed Helio Gracie) l'uso sistematico delle cinture colorate per i mudansha.

Tale sistema di graduazione non è standard in tutto il mondo, ma generalmente prevede i seguenti colori per identificare i jūdōka dal 6º al 1º kyū: bianco, giallo, arancione, verde, blu, e marrone. Al momento è tuttavia in uso in molte associazioni sportive italiane un sistema di graduazione per i mudansha che prevede anche l'attribuzione di "mezze-cinture", vera aberrazione per il jūdō tradizionale, ma dall'indubbia utilità commerciale. Esistono quindi, tra i vari kyū, le cinture: bianco-gialla, gialla-arancione, arancio-verde, verde-blu e la blu-marrone.

Per gli yudansha, invece, esiste uno standard globalmente accettato che è quello del Kōdōkan di Tōkyō, che prevede i seguenti colori: nera dal 1º al 5º dan, bianco-rosso dal 6º all'8º dan, e rosso per il 9º e il 10º dan. Le donne, inoltre, per tradizione, possono indossare la cintura del grado a cui appartengono, con una particolare riga bianca orizzontale.[56]

  In Italia

In Italia, i gradi inferiori alla cintura nera sono rilasciati in seguito ad un esame periodico organizzato dall'Insegnante Tecnico del club. Per ottenere invece il grado di cintura nera 1º dan ci sono diversi percorsi:

  • Al 15º anno di età, i possessori del grado di 2º kyū, possono ottenere il 1º dan per meriti agonistici classificandosi almeno al 3º posto al Campionato Italiano Cadetti; oppure al 17º anno di età, i possessori del grado di 1º kyū, classificandosi nei primi 7 al Campionato Italiano Juniores; oppure dal 17º al 23º anno di età, i possessori del grado di 1º kyū, classificandosi nei primi 7 al Campionato Italiano Under 23.[53]
  • Al 18º anno di età, i possessori del grado di 2º kyū, possono partecipare al Grand Prix 1º e 2º dan il quale prevede una serie di tornei a punteggio: al raggiungimento della soglia di 40 punti si ottiene il 1º dan, e al raggiungimento di ulteriori 50 punti, il 2º dan.[53]
  • Al 16º anno di età, per coloro i quali fossero 1º kyū da almeno 2 anni, è possibile sostenere un esame teorico-pratico indetto dal Comitato Regionale.[57]

Di seguito altre regole per la promozione a dan successivi (valide in Italia):

  • I medagliati ad un Campionato Italiano di classe ottengono generalmente la promozione al dan successivo, fino al 3º dan, direttamente dal Presidente della FIJLKAM.
  • I medagliati ad un Campionato Europeo di classe ottengono generalmente la promozione al dan successivo, fino al 4º dan, direttamente dal Presidente dell'EJU.
  • I medagliati ad un Campionato Mondiale o alle Olimpiadi ottengono generalmente la promozione al dan successivo, fino al 5º dan, direttamente dal Presidente dell'IJF.

Per l'ottenimento di gradi dal 1º al 6º dan, tuttavia, è possibile sostenere un esame di graduazione regionale (fino al 3º dan), o nazionale (fino al 6º dan), rispettando i vincoli temporali minimi, ovvero di n+1 anni di attesa per ogni esame di graduazione, dove n è il proprio dan, fino al 5º dan; e di n+3 anni di attesa e la qualifica di Ufficiale di Gara Nazionale o Maestro, per il 6º dan.[57] Dan successivi vengono attribuiti –almeno in Italia–, principalmente, per meriti politici.

Kyū Dan
Kyū Kanji Rōmaji Colore
6 六級 Rokkyū bianco
5 五級 Gokkyū giallo
4 四級 Yokkyū arancione
3 三級 Sankyū verde
2 二級 Nikyū blu
1 一級 Ikkyū marrone
Dan Kanji Rōmaji Colore
1 初段 Shodan nero
2 二段 Nidan
3 三段 Sandan
4 四段 Yodan
5 五段 Godan
6 六段 Rokudan bianco-rosso
7 七段 Nanadan
8 八段 Hachidan
9 九段 Kudan rosso
10 十段 Jūdan

  Il jūdō in Italia

  Cenni storici

Le prime testimonianze si riferiscono ad un gruppo di militari appartenenti alla nostra Marina i quali nel 1905 tennero una dimostrazione di "lotta giapponese" (cosi veniva definito il judo) davanti all'allora re d'Italia Vittorio Emanuele III.

Gli ufficiali Moscardelli e Michele Pizzolla, in servizio a Yokohama in Giappone ottennero, secondo quanto contenuto negli archivi della Marina, il 1º dan di judo nel 1889.

Bisognerà però aspettare altri 15 anni perché si incominci a parlare di judo, grazie all'opera di un altro marinaio, Carlo Oletti, che diresse i corsi di judo per l'esercito che erano stati istituiti nel 1920.

  La FIJLKAM

Fino al 1924 il judo resterà confinato nell'ambito militare, allorquando fu costituita la FILG (Federazione Italiana Lotta Giapponese), assorbita poi nel '31 dalla FIAP (Federazione Italiana Atletica Pesante), e quindi nel '74 dalla FILPJ, (Federazione Italiana Lotta Pesi Judo), che a sua volta, inglobando anche il karate, cambierà denominazione in FILPJK (Federazione Italiana Lotta Pesi Judo Karate) nel 1995; infine nel luglio del 2000 l'Assemblea Nazionale decide di scindere la FILPJK in FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) e FIPCF (Federazione Italiana Pesistica e Cultura Fisica).

Particolare merito spetta, per la divulgazione in Italia del judo e per la costituzione in organizzazione federale, al Maestro Benemerito[58] Tommaso Betti Berutto, autore del testo – usato come riferimento da almeno due generazioni di insegnanti tecnici italiani, ma non certo indenne da gravi imperfezioni – "Da cintura bianca a cintura nera", al Maestro Benemerito Giovanni Bonfiglio, pioniere del judo e delle arti marziali in Sicilia e Calabria già dal 1946, e all'Avv. Augusto Ceracchini, cinque volte Campione d'Italia e co-istitutore dell'Accademia Nazionale Italiana Judo.[59] Vanno altresì inclusi in quest'ambito i nomi dei maestri Nicola Tempesta, padre del judo napoletano, nove volte Campione d'Italia e primo italiano Campione d'Europa, e di Cesare Barioli, autore di diversi testi sia tecnici, sia come metodo educativo e formativo.

  Profilo degli illustri maestri di jūdō

  10ⁱ dan Kōdōkan (maschi)


  10ⁱ dan Kōdōkan (femmine)

  • Keiko Fukuda: (Giappone, 1913–) promossa 9° dan l'8 gennaio 2006 e 10° dan nel 2011. Nipote di Hachinosuke Fukuda ed ultima allieva vivente di Jigoro Kano, è l'unica donna al mondo mai insignita di tale grado.

  10ⁱ dan non Kōdōkan

Inoltre, sono stati promossi 10ⁱ dan dalle rispettive federazioni nazionali Mikonosuke Kawaishi (Francia), Philip S. Porter (Stati Uniti), Henri Courtine (Francia), Jaap Nauwelaerts de Agé (Olanda).

  Bibliografia

  • Silvano Addamiani, Judo Kata, vol. 2 & 3, Edizioni Mediterranee, 1976, ISBN 978-88-272-0347-7.
  • Cesare Barioli, Il libro del judo, De Vecchi Editore, 1988, ISBN 88-412-2016-3.
  • Cesare Barioli, L'avventura del judo, Vallardi Industrie Grafiche, 2004, ISBN 978-88-7696-368-1.
  • Tommaso Betti Berutto, Da cintura bianca a cintura nera, Nuova Editrice Spada, 2004, ISBN 978-88-8122-145-5.
  • Bruno Carmeni, Judo. Tecniche a terra, Edizioni Mediterranee, 1990.
  • Keiko Fukuda, Ju-no-kata. A Kodokan textbook, North Atlantic Books, 2005, ISBN 1-55643-504-5.
  • H. Irving Hancock, Jigoro Kano o l'origine del judo, Luni Editrice, 2005, ISBN 978-887435-0.
  • Jigoro Kano, Fondamenti del judo, Luni Editrice, 2003, ISBN 978-887435-0.
  • Jigoro Kano, Judo Jujutsu, Edizioni Mediterranee, 1995, ISBN 88-272-1125-X.
  • Jigoro Kano, Kodokan judo, Edizioni Mediterranee, 2005, ISBN 978-8827-21-7.
  • Katsuhiko Kashiwazaki, Tomoe-nage, Edizioni Mediterranee, 1992, ISBN 88-272-0169-6.
  • Yves Klein, I fondamenti del judo, Isbn Edizioni, 2007, ISBN 978-887638-0.
  • Kazuzo Kudo, Judo in azione, vol 1 & 2, Edizioni Mediterranee, 1987-1989.
  • Kyuzo Mifune, The canon of judo, Kodansha International, 2004, ISBN 4-7700-2979-9.
  • Isao Okano, Tetsuya Sato, Judo vitale vol. 1 & 2, Edizioni Mediterranee, 1977, ISBN 88-272-0349-4.
  • Armando Troni, Storia del Giappone, Nerbini Firenze, 1942, LCCN 45016660.
  • Sakujiro Yokoyama, Eisuke Oshima, Judo Kyohan, Rising Sun Productions, 2007, ISBN 0-920129-95-1.[60]
  • Brian N. Watson, Il padre del judo, Edizioni Mediterranee, 2005, ISBN 978-8827-21-7.
  • Brian N. Watson, Judo Memoirs of Jigoro Kano, Trafford Publishing, 2008, ISBN 978-1-4251-6349-5.
  • Oscar Ratti, Adele Westbrook, I Segreti dei Samurai, Edizioni Mediterranee, 1977, ISBN 88-272-0166-1.
  • Shun Inoue, Budō no tanjō (武道の誕生), Yoshikawa Kōbunkan, 2004, ISBN 4-642-05579-7.
  • Trevor Leggett, Lo spirito del budo, Luni Editrice, 2005, ISBN 88-7435-077-5.
  • Otello Bisi, "Capire il Judo", Bizzocchi, 1989

  Note

  1. ^ Il suffisso ka ( ka?) è usato in Giappone per denotare coloro che intraprendono una qualsiasi attività in modo serio e continuativo. In particolare, l'ideogramma deriva dai radicali ben ( ben?) ("corona") e inoko ( inoko?) ("maiale"), ma denota comunemente un casato o comunque una famiglia. L'utilizzo nelle arti marziali difatti sottintende l'ingresso effettivo nella famiglia dei praticanti e quindi per estensione, andrebbe usato indicativamente per i gradi dal 3° dan in poi, essendo questi ultimi – almeno in teoria – meno inclini ad abbandonare la famiglia dei praticanti dell'arte marziale. Ciò detto, è tuttavia accettabile autodefinirsi "jūdōka" poiché è puramente una questione di coscienza personale relativamente al sentimento di appartenenza alla famiglia del jūdō. L'appellativo di "jūdōista", in tal senso, è da considerarsi altresì sempre appropriato.
  2. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Fondamenti del Judo. "Che cosa è il Judo" (Luni Editrice, Milano): 23.
  3. ^ (EN) Mifune, Kyūzō. (2004). The Canon of Judo. "History of the Kodokan" (Kodansha International, Tokyo): 21.
  4. ^ (EN) Fukuda, Keiko. (1973). Born for the Mat - A Kodokan Kata Textbook for Women (Japan).
  5. ^ a b (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Fondamenti del Judo. "Cos'è il Kodokan Judo" (Luni Editrice, Milano): 21.
  6. ^ (IT) Troni, Armando. (1942). Storia del Giappone. "Le riforme e la occidentalizzazione del Giappone" (Casa Editrice Nerbini, Firenze): 84.
  7. ^ (IT) Kano, Jigoro. (2005). Fondamenti del Judo. "Cos'è il Kodokan Judo" (Luni Editrice, Milano): 22-23.
  8. ^ (IT) Barioli, Cesare. (2004). L'Avventura del Judo. "Kano e il jiu-jutsu (1975-1882)" (Vallardi Editore, Milano): 22.
  9. ^ (IT) Watson, Brian N. (2005). Il padre del Judo. Una biografia di Jigoro Kano. "Lo studio del jujutsu" (Edizioni Mediterranee, Roma): 37.
  10. ^ (IT) Barioli, Cesare. (2004). L'Avventura del Judo. "Maggio 1882, tempio di Eisho" (Vallardi Editore, Milano): 33.
  11. ^ (IT) Watson, Brian N. (2005). Il padre del Judo. Una biografia di Jigoro Kano. "L'Eishoji dojo" (Edizioni Mediterranee, Roma): 40.
  12. ^ L'entrata dell'Eishōji 東上野 永昌寺. Tale tempio non è da confondere col suo più famoso omonimo ubicato nella città di Kamakura. Quello originale, ospitante il primo Kōdōkan è ancora visitabile. Ha due ingressi, uno non facilmente accessibile poiché alquanto costretto dagli edifici limitrofi, l'altro con parcheggio auto su Kiyosu-bashi Dori. Nei pressi dell'Eishōji è situata la Metropolitana di Tōkyō:
    Ginza-sen (G17 銀座線, Stazione di Inarichō).
  13. ^ L'attuale sede del Kōdōkan è ben collegata alla Metropolitana di Tōkyō:
    Marunouchi-sen (M22 丸ノ内線, Stazione di Kōrakuen),
    Namboku-sen (N11 南北線, Stazione di Kōrakuen),
    Mita-sen (I12 都営三田線, Stazione di Kasuga),
    Oedo-sen (E07 都営大江戸線, Stazione di Kasuga).
  14. ^ Waterhouse, David. "Kanō Jigorō and the Beginnings of the Jūdō Movement", Toronto, symposium, 1982, pp. 170-171.
  15. ^ Draeger, Donn F. Martial Arts and Ways of Japan: Volume II; Classical Budo and Bujutsu. Weatherhill, Tokyo, 1973.
  16. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Fondamenti del Judo. "Differenze tra Judo e Ju-jutsu" (Luni Editrice, Milano): 229.
  17. ^ Al riguardo è emblematico il titolo del libro di O. H. Gregory e Tsunejirō Tomita, Judo: La moderna scuola del Jū-Jitsu, Chicago, O. H. Gregory, ~1906.
  18. ^ Intervista a Jigorō Kanō del 1935, tratta da: (JA) Kanō, Jigorō. (1988). Kanō Jigorō taikei (Honnotomosha): 55.
  19. ^ (EN) Inoue, Shun.. The Invention of the Martial Arts. "From Jujutsu to Judo": 164-165.
  20. ^ (IT) Watson, Brian N. (2005). Il padre del Judo. Una biografia di Jigoro Kano. "L'Eishoji dojo" (Edizioni Mediterranee, Roma): 40-41.
  21. ^ (IT) Barioli, Cesare. (2004). L'Avventura del Judo. "Maggio 1882, tempio di Eisho" (Vallardi Editore, Milano): 34, 39.
  22. ^ a b (IT) Ratti, Oscar; Westbrook, Adele. (1977). I Segreti dei Samurai. "Le scuole del jujutsu" (Edizioni Mediterranee): 372.
  23. ^ (IT) Watson, Brian N. (2005). Il padre del Judo. Una biografia di Jigoro Kano. "Eventi nella vita di Jigoro Kano" (Edizioni Mediterranee, Roma): 177.
  24. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Fondamenti del Judo. "Differenze tra Judo e Ju-jutsu" (Luni Editrice, Milano): 228.
  25. ^ (IT) Barioli, Cesare. (2008). Athlon. "Il judo educazione" (FIJLKAM, Roma): 54.
  26. ^ a b Jigoro Kano, Yuko no Katsudo, Giappone, 1925.
  27. ^ (IT) Kano, Jigoro. (2005). Fondamenti del Judo. "Cos'è il Kodokan Judo" (Luni Editrice): 23-24.
  28. ^ a b (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Classificazione delle tecniche" (Edizioni Mediterranee, Roma): 54.
  29. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Classificazione delle tecniche" (Edizioni Mediterranee, Roma): 53.
  30. ^ Sebbene formalmente le shime-waza siano generalmente tutte le tecniche di strangolamento, nella pratica si distinguono più precisamente due tipi di shime-waza: strangolamenti di tipo respiratorio (soffocamenti) e strangolamenti di tipo circolatorio. In entrambi i casi il motivo di strangolamento è il non afflusso di ossigeno al cervello, ma la caratteristica peculiare dei soffocamenti è l'interruzione dell'azione respiratoria di uke con compressioni alla laringe di uke; mentre nel caso degli strangolamenti propriamente detti, c'è un'interruzione fattiva del flusso sanguigno con compressioni all'arteria carotide.
  31. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Classificazione delle tecniche" (Edizioni Mediterranee, Roma): 55.
  32. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Classificazione delle tecniche" (Edizioni Mediterranee, Roma): 53.
  33. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Classificazione delle tecniche" (Edizioni Mediterranee, Roma): 56.
  34. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Classificazione delle tecniche" (Edizioni Mediterranee, Roma): 56.
  35. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Classificazione delle tecniche" (Edizioni Mediterranee, Roma): 53.
  36. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Ukemi" (Edizioni Mediterranee, Roma): 43.
  37. ^ Conosciuta anche come mae-kaiten-ukemi.
  38. ^ Conosciuta anche come ko-hō-ukemi.
  39. ^ Conosciuta anche come soku-hō-ukemi.
  40. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Kuzushi" (Edizioni Mediterranee, Roma): 40-41.
  41. ^ Kōdōkan Jūdō Institute, Waza 技の原理.
  42. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Tsukuri e kake" (Edizioni Mediterranee, Roma): 42.
  43. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Tsukuri e kake" (Edizioni Mediterranee, Roma): 42.
  44. ^ (EN) Mifune, Kyūzō. (2004). The Canon of Judo. "Tsukuri and Kake (Positioning to Throw and Execution of Throw)" (Kodansha International, Tokyo): 44.
  45. ^ (IT) Watson, Brian N. (2012). Il padre del Judo. Una biografia di Jigoro Kano. "Lo studio del jujutsu" (Edizioni Mediterranee, Roma): 56-57.
  46. ^ (IT) Barioli, Cesare. (2008). Athlon. "Il judo educazione" (FIJLKAM, Roma): 53.
  47. ^ (EN) Watson, Brian N. (2008). Judo Memoirs of Jigoro Kano (Trafford Publishing): 80.
  48. ^ Kōdōkan Jūdō Institute, Kata 形と乱取について.
  49. ^ I filmati dell'esecuzione del koshiki-no-kata ad opera di Jigorō Kanō e Yoshiaki Yamashita sono disponibili sul sito di judo-educazione.it
  50. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Il dojo" (Edizioni Mediterranee, Roma): 24.
  51. ^ FIJLKAM Programma dell'Attività Federale 2007.[1]
  52. ^ IJF, Sports and Organization Rules, Standards Requirements for Competition Area (MAT) and Tatamis, [2] ultimo aggiornamento: 25 luglio 2004.
  53. ^ a b c FIJLKAM Programma dell'Attività Federale 2010.[3]
  54. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Fondamenti del Judo. "Orientamento sulla promozione dei gradi" (Luni Editrice, Milano): 59.
  55. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Fondamenti del Judo. "L'organizzazione dei passaggi di grado" (Luni Editrice, Milano): 66.
  56. ^ (IT) Kanō, Jigorō. (2005). Kodokan Judo. "Il judogi" (Edizioni Mediterranee, Roma): 25.
  57. ^ a b FIJLKAM Esami di Graduazione. [4]
  58. ^ Onorificenza rilasciata dall'ente in base all'età e al contributo all'interno dello stesso
  59. ^ Ente predisposto alla formazione degli insegnanti tecnici di judo negli anni settanta.
  60. ^ Testo classico di jūdō jū-jutsu pubblicato per la prima volta in Francia nel 1908 col titolo Judo manuel de jujutsu de l'école de Kano à Tokyo e successivamente nel 1915 in Inghilterra col titolo originale. È disponibile online una traduzione non ufficiale sul sito jigorokano.it.

  Voci correlate

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  Collegamenti esterni

  • Judo su Open Directory Project (Segnala su DMoz un collegamento pertinente all'argomento "Judo")
  • IJF International Judo Federation (riconosciuta dal CIO)
  • EJU European Judo Union (riconosciuta dal CIO e dalla IJF)
  • FIJLKAM Federazione Italiana Judo Lotta Karate e Arti Marziali (riconosciuta dal CONI, dalla IJF e dalla EJU)
  • CSEN Centro Sportivo Educativo Nazionale (riconosciuto dal CONI)
  • (EN) JudoInfo.com Sito informativo sul judo (in inglese).
  • Judo-Educazione.it Video storici sull'esecuzione di kata e approfondimenti sul judo tradizionale.
  • InfoJudo Sito informativo sul Judo. Offre informazioni su tecniche, storia e principi del judo.
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