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⇨ definición de Nobiltà (Wikipedia)
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nobiltà (n.)
nobiltà (n.f.)
(titolo di Pari), aristocrazia, casta nobiliare, elevatezza, elevazione, grandiosità, maestà, magnanimità
Ver también
nobiltà (n.f.)
↘ aristocratica, aristocratico, nobile, sangue blu, titolato ↗ di animo nobile, elevato, magnanimo
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⇨ (nobiltà d'animo) • alta nobiltà • nobiltà d'animo • nobiltà ereditaria • nobiltà minore • nobiltà terriera • piccola nobiltà
⇨ Annuario della nobiltà italiana • Corpo della Nobiltà Italiana • Dialogo sopra la nobiltà • Libro d'oro della nobiltà italiana • Libro d'oro della nobiltà italiana (periodico) • Libro d'oro della nobiltà italiana (registro ufficiale) • Miseria e nobiltà • Miseria e nobiltà (film 1914) • Miseria e nobiltà (film 1940) • Miseria e nobiltà (film 1954) • Nobiltà austriaca • Nobiltà danese • Nobiltà di strada • Nobiltà di toga • Nobiltà maltese • Nobiltà nera • Nobiltà spagnola • Nobiltà svedese • Nobiltà tedesca • Nobiltà ungherese • Processi di nobiltà
nobiltà (n.)
heraldry (en)[Domaine]
Group (en)[Domaine]
nobiltà (n.)
nobiltà (s. f.)
condition du noble (fr)[Classe]
Moyen Âge (fr)[termes liés]
nobiltà (s. f.)
caractère de grandeur imposant respect (fr)[Classe]
grandeur des qualités morales (fr)[Classe]
factotum (en)[Domaine]
SubjectiveAssessmentAttribute (en)[Domaine]
nobiltà (s. f.)
nobiltà[ClasseHyper.]
gentildonna; gentiluomo; nobile; nobiluomo[ClasseEnsembleDe]
ensemble de familles se référant à un ancêtre (fr)[Classe]
ordine[ClasseParExt.]
nobiltà (s. f.)
force de caractère (fr)[Classe]
qualité morale portant à faire le bien (fr)[Classe]
grandeur des qualités morales (fr)[Classe]
goût pour les choses de la religion (fr)[termes liés]
esprit de l'homme (fr)[termes liés]
onorabilità[Hyper.]
big, large, magnanimous (en) - nobile - generoso, magnanimo - ignobile[Dérivé]
nobiltà (s. f.)
nobiltà[Classe]
mode de gouvernement fondé sur quelques personnes (fr)[Classe]
élite, fior fiore[Hyper.]
noble (en) - aristocratico[Dérivé]
Wikipedia
Il termine nobiltà ha un duplice significato: indica sia uno status privilegiato riconosciuto dall'autorità, sia l'insieme dei soggetti che beneficiano di tale condizione. Con riferimento a quest'ultima accezione, lo storico Marc Bloch definisce "nobiltà" la classe dominante che abbia uno statuto giuridico suo proprio che confermi e materializzi la superiorità che essa pretende e, in secondo luogo, che tale statuto si perpetui per via ereditaria. È ammessa, a favore di alcune famiglie nuove, la possibilità di conquistarne l'accesso, anche se in numero ristretto e secondo norme regolarmente stabilite.[1]
Il governo retto dalla nobiltà è chiamato aristocrazia.
Indice |
Presso il popolo ebraico la primogenitura costituiva una sorta di nobiltà con speciali diritti. Una vera casta con privilegi si ebbe nell'Egitto, nell'India e in Persia. Nella Grecia di Omero alcune famiglie vantavano origine divina o eroica, che era vanto e stimolo ai discendenti. A Roma, nei primi tempi, ebbe in sostanza nella prima età feudale quella che è stata chiamata "nobiltà di fatto", legata alle funzioni di amministrazione del potere comunque delegato dal sovrano e i cui privilegi consistettero, in origine soprattutto, nella concessione di terre.
Una nobiltà di diritto si formò e si costituì tra i secoli XI e XIII: anche in questo caso la nobiltà fu legata a una funzione preminente e caratterizzante, quella militare, e a privilegi legati a modi di possesso di terre e territori; ma i modi di accesso a questo tipo di nobiltà furono regolati non solo da tradizioni consolidate, bensì anche da statuti giuridici.
Uno dei più caratteristici privilegi della nobiltà cittadina fu l'ammissione dei soli nobili ai più prestigiosi collegi professionali (collegio dei giureconsulti, dei fisici (medici), ecc.). I privilegi più comuni della nobiltà furono normalmente d'ordine fiscale, cioè esenzioni totali o parziali da vari tipi di imposte, e d'ordine giudiziario: comunemente il nobile poteva essere giudicato solo da nobili, da suoi pari, molto spesso costituiti in tribunale speciale.
Il diritto nobiliare contemplò sempre anche i casi per i quali si perdeva la nobiltà: dovunque comportava perdita della nobiltà (e dei relativi privilegi) una condanna per crimini contro il sovrano o contro il proprio paese, in molti casi anche una condanna per delitti comuni di particolare gravità; era anche generalmente considerata motivo di perdita della nobiltà qualsiasi attività considerata "servile o mechanica" cioè legata a lavoro manuale.
La successione nei titoli nobiliari, normalmente disposta nell'atto di concessione del titolo da parte del sovrano o del capo dello stato, può avvenire per soli maschi primogeniti, in favore dei discendenti maschi, ma anche in favore di tutti i discendenti, maschi e femmine (per queste solo a titolo personale e comunque sempre senza trasmissione ai discendenti in linea femminile, con l'eccezione di casi rarissimi). Il titolo nobiliare si trasmette ai soli figli legittimi, non agli adottati, né ai naturali, né ai legittimati per rescriptum principis, ma solo ai legittimati per subsequens matrimonium, salve sempre diverse statuizioni del sovrano.
In Francia nel 1789 l'Ancien Régime, dopo essere stato spazzato via dalla rivolta, era stato giuridicamente liquidato per decreto (l'"Assemblea nazionale" abolisce interamente il regime feudale")[2].
Dopo la Rivoluzione francese, anche nei paesi da essa non toccati ma nei quali si erano ormai affermati alcuni dei principi ideali da cui la Rivoluzione era nata, andò mutando la concezione dello Stato e definendosi una nuova idea di nazione: la nobiltà, persi ormai i privilegi di tipo feudale, vide ridursi ovunque e rapidamente sparire quasi dovunque anche gli altri privilegi tradizionali che nei confronti dello Stato la ponevano prima in rapporto diverso da quello dei non-nobili.
Se nel corso dei secoli ha spesso rappresentato la classe dirigente della società, oggi (soprattutto in un'Europa in cui in molti paesi i titoli nobiliari non sono più riconosciuti), la nobiltà si presenta talvolta come un ceto interessato a conservare le tradizioni ataviche e la memoria storica, anche con un certo attivismo in campo sociale e culturale.
Fonte principale del diritto nobiliare del Regno d'Italia è stato l'articolo 79 dello Statuto albertino: «...i titoli di nobiltà sono mantenuti per coloro che vi hanno diritto; il re può conferirne dei nuovi.» (nobiltà per lettere patenti). I provvedimenti nobiliari venivano suddivisi in due categorie: quelli reali (di grazia) e quelli ministeriali (di giustizia). I primi, ovviamente, discrezionali; i secondi dovuti (a norma della prima parte dell'art. 79 dello Statuto). Un titolo nobiliare era da considerare "esistente" indipendentemente dal "riconoscimento" amministrativo o giurisdizionale, che aveva solo una funzione di accertamento, peraltro necessario al legittimo uso ufficiale dello stesso[3]. Una famiglia che non aveva chiesto riconoscimento, pur possedendo tutte le qualità della nobiltà, finché non otteneva un pubblico attestato, apparteneva di fatto alla nobiltà, ma non ufficialmente, e quindi non poteva usarne gli attributi di onore, mentre una famiglia che aveva ottenuto attestato di riconoscimento era nobile di fatto e di diritto, "nobile di qualità e di titolo"[4].
Con regio decreto n. 313 del 10 ottobre 1869 venne istituita la Consulta araldica del Regno, organo consultivo del governo, competente per le questioni nobiliari e araldiche. Gli interessati, previo espletamento di una procedura di carattere amministrativo avanti gli organi araldici dello Stato, poterono ottenere l'scrizione nel Libro d'oro della nobiltà italiana e in altri registri araldici, come l'"Elenco ufficiale della nobiltà italiana".
Con i regi decreti n. 1489 del 16 agosto 1926 e n. 1091 del 16 giugno 1927 si volle unificare per tutto il Regno la successione nei titoli nobiliari, sopprimendo le antiche regole successorie ricavabili dalle legislazioni storiche. Principi informatori di quei provvedimenti furono essenzialmente: l'abrogazione delle leggi e consuetudini nobiliari già vigenti negli antichi Stati preunitari e ancora in vigore; l'esclusione delle femmine dalla successione nobiliare e dalla facoltà di trasmettere titoli per linea femminile; la parziale retroattività delle suddette disposizioni.
Il regio decreto n. 61 del 21 gennaio 1929 introdusse nell'ordinamento giuridico italiano l'"Ordinamento dello stato nobiliare italiano", modificato nel 1943[5].
Durante il Regno d'Italia la nobiltà non ebbe particolari privilegi, o prerogative, o precedenze stabilite dalla legge ma prettamente dettati dallo stato di fatto[6];
Per approfondire, vedi la voce Falsi titoli di nobiltà. |
In Italia i titoli nobiliari non sono più riconosciuti dal 1948 per effetto dell'articolo 3 e della XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana e "non costituiscono contenuto di un diritto e, più ampiamente, non conservano alcuna rilevanza"[7][8]. La disposizione transitoria e finale rimanda invece a una legge ordinaria la soppressione della Consulta araldica, perché si tratta di una regolamentazione di argomento più ampio (le funzioni amministrative nella materia araldica), non solo quello dei titoli nobiliari di cui si occupa tale disposizione della Costituzione. Dalla Costituzione furono terminate solo le funzioni inerenti ai titoli nobiliari.[7]
Sempre la disposizione transitoria e finale n. XIV prevede che i predicati[9] di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 (marcia su Roma) valgono come parte del nome[7][10], al quale vengono aggiunti con specifica sentenza di "cognomizzazione". Pertanto se i predicati sono "parti del nome", il titolare può trasmetterli per legge dello Stato a tutti i suoi discendenti (legittimi e naturali) e anche al figlio adottivo, come qualsiasi cognome e vengono regolarmente tutelati dai tribunali della Repubblica Italiana, applicando a tale tutela le norme di tutela del nome (non quelle di tutela dei titoli nobiliari, cessati con la Costituzione repubblicana[7]).
Dopo il 1950 Umberto II di Savoia riprese l'esercizio della Sovrana Prerogativa e, da allora, emanò numerosi provvedimenti nobiliari sia di grazia sia di giustizia, i cosiddetti titoli nobiliari umbertini[11].
Il gran magistero del Sovrano militare ordine di San Giovanni di Gerusalemme detto di Malta nel marzo 1960 pubblicò un Elenco storico della nobiltà italiana che venne dichiarato essere, da lettera del sottosegretario alla Presidenza del consiglio dei ministri[12], sostanzialmente quello che sarebbe stata l'edizione aggiornata dell'"Elenco ufficiale della nobiltà italiana" se l'attuale ordinamento costituzionale ne avesse consentito la pubblicazione d'ufficio[13]. Tuttavia tale dichiarazione non tiene in considerazione i massimari nobiliari approvati dopo la pubblicazione dell'"Elenco ufficiale nobiliare del 1933, secondo i quali negli Elenchi ufficiali successivi sarebbero state riportate solo quelle famiglie che ottennero l'iscrizione nel Libro d'oro della nobiltà italiana (registro ufficiale), mentre tutte le altre famiglie, o rami di famiglie, pur già elencate negli Elenchi nobiliari ufficiali a stampa sarebbero state cancellate.
Anche se non avvengono, come per il passato, riconoscimenti nobiliari da parte dello Stato, essi possono ottenersi per la nobiltà generica in particolare dal gran magistero del Sovrano militare ordine di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Malta, che, fedele alle sue secolari tradizioni, continua ad ammettere nelle sue file cavalieri che provino la loro nobiltà.[13]
Altri ordini cavallereschi rimasti in Italia che richiedono prove nobiliari per l'ammissione negli stessi sono l'Ordine di Santo Stefano papa e martire e l'Ordine costantiniano di San Giorgio (sia nella branca detta di Napoli sia in quella detta di Spagna)[14]
Il Corpo della nobiltà italiana è un'associazione costituita a Torino nel 1958 da alcuni studiosi italiani di storia, diritto, araldica e genealogia, che si sono assunti la funzione di accertare e di difendere i diritti storici di coloro che hanno diritto a un titolo nobiliare (e pertanto anche a uno stemma gentilizio, o di cittadinanza), nei limiti delle disposizioni legislative vigenti, in assenza della disciolta Consulta araldica[15]. Lo stesso aveva ottenuto il riconoscimento delle proprie funzioni da Umberto II di Savoia[16] e rivendica una continuità ideale con la Consulta araldica[17].
Un'approssimativa indagine[18], riportata da Enrico Genta nell' Enciclopedia del diritto[19], compiuta sulla diciottesima edizione del Libro d'oro della nobiltà italiana (periodico), permetteva di individuare in Italia la permanenza di circa quattromila famiglie nobili[20], delle quali circa un terzo di nobiltà semplice, priva cioè di titoli al di sopra di quello di nobile e due terzi dotate di titoli nobiliari superiori: questi sono, in ordine gerarchico decrescente, senza che ciò però implichi una correlazione tra importanza del titolo nobiliare e importanza del casato, i titoli di:
Come si legge tale stima prese in esame tutte le famiglie presenti nel Libro d'oro della nobiltà italiana non soltanto, cioè, quelle iscritte negli Elenchi ufficiali nobiliari (che ottennero cioè un riconoscimento del loro status nobiliare con l'iscrizione negli Elenchi durante il periodo monarchico), bensì tutte quelle, a vario titolo, presenti in quella edizione del periodico: a tale numero della stima è necessario togliere quindi circa 500 famiglie per basare il calcolo solo sui casati effettivamente iscritti negli elenchi ufficiali nobiliari italiani.
Il computo più recente delle famiglie ancora con qualche membro vivente è stato pubblicato nella XXX edizione dell'Annuario della nobiltà italiana[22], e sposta il numero di famiglie sussistenti, e sempre discendenti dalle sole iscritte negli Elenchi ufficiali nobiliari, a oltre 7.500, per un totale di oltre 78.000 persone, evidenziando l'erronea stima, per difetto, del precedente calcolo pur lasciando sostanzialmente immutate le proporzioni per la distribuzione dei titoli[23][24].
I titoli di nobiltà non furono certo il più significativo fattore di distinzione fra i nobili, né in termini di prestigio né in termini di potere: contavano maggiormente l'antichità della discendenza, il suo lustro storico, l'importanza delle cariche ricoperte e dei ranghi riconosciuti, nonché le alleanze matrimoniali, l'ampiezza e la stabilità dei possessi fondiari[26]. I più antichi elenchi nobiliari in ordine gerarchico includevano soltanto tre titoli: Principe, Conte e Duca. Di seguito, e in ordine gerarchico, i titoli più recentemente usati in Europa:
Titoli nobiliari specifici della nobiltà sarda:[27]
I "quarti di nobiltà" esprimono, nel sistema nobiliare, l'anzianità di nobiltà di una persona (a prescindere dal titolo) in funzione dell'appartenenza o meno dei propri antenati al ceto nobiliare. In altri termini, più alto è il numero di generazioni precedenti che potevano fregiarsi di un titolo nobiliare, e maggiore è la nobiltà della persona in questione, che viene misurata così in "quarti".
Il computo parte dai nonni: un nobile i cui nonni potessero fregiarsi ciascuno a buon diritto di un titolo nobiliare comunque acquisito (assegnato direttamente dal re o ricevuto per discendenza) è in possesso di 4/4 di nobiltà (un quarto per ciascuno dei quattro antenati). Risalendo ancora, ad esempio, ai bisnonni (8 coppie), se ciascuno di essi era nobile, la persona si dice che abbia 8/4 di nobiltà, 16/4 se erano nobili anche tutti i suoi trisnonni, e così via.
È a partire dalla fine del medioevo che nell'Europa centrale compare l'uso di definire la nobiltà di una persona facendo il conto dei suoi "quarti di nobiltà".[28] Più precisamente furono i tedeschi ed i fiamminghi che per primi ricorsero a un tale tipo di misurazione, per risolvere il problema posto da un'eventuale assenza di nobiltà dal lato femminile.[28]
Furetière fa riferimento ai quarti di nobiltà per parlare di blasonatura delle arme: un quarto, egli dice, è uno stemma d'arme.
(FR)
« Il faut seize quartiers pour prouver la noblesse de quatre races dans les Compagnies où on ne reçoit que les Nobles. Ce mot de « quartier », que l'on demande pour les preuves de Noblesse, vient de ce autrefois on mettoit sur les quatre coins d'un tombeau les Écus du père & de la mère, de l'aïeul & de l'aïeule du défunt. On voit en Flandres & en Allemagne des tombeaux où il y a 8, 16, & 32 quartiers de noblesse. »
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(IT)
« Occorrevano sedici quarti di nobiltà per entrare in organizzazioni che accoglievano solo nobili. Il termine "quarto", che viene richiesto per provare la propria appartenenza alla nobiltà, proviene dall'uso di porre ai quattro angoli della pietra tombale gli stemmi del padre, della madre, del nonno e della nonna. Si vedono in Fiandra ed in Germania tombe ove vi sono 8, 16, & 32 quarti di nobiltà »
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(Antoine Furetière, Dictionnaire universel françois & latin[29])
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Attualmente in alcune nazioni europee, cioè nel Belgio, nella Gran Bretagna e nella Spagna, i diritti araldici e nobiliari sono riconosciuti e i sovrani fanno pure nuove concessioni, o fanno rivivere titoli vacanti.
Altrove, come accade in Danimarca, in Liechtenstein, in Lussemburgo, nel Principato di Monaco, in Norvegia, nei Paesi Bassi e in Svezia, vengono riconosciuti e sono concessi solo ai membri della famiglia sovrana. Così pure riconoscono i titoli nobiliari, senza fare nuove concessioni, la Santa Sede e la Repubblica di San Marino. Le repubbliche di Finlandia, di Francia e d'Irlanda (quest'ultima con qualche eccezione) riconoscono anch'esse i titoli nobiliari e permettono l'accertamento dei diritti relativi. Li vietano e li perseguono invece l'Austria e la Svizzera. In Germania, i titoli fanno parte integrante del cognome, mentre nel Portogallo non si dà rilevanza giuridica agli stessi.
Attualmente chi vuol far valere i propri diritti araldici genealogici nobiliari può rivolgersi a ordini cavallereschi nobiliari, a corpi di re d'armi di paesi dove ancora esiste giurisdizione nobiliare o ad associazioni araldico-nobiliari.[30]
La nobiltà pontificia è, ai sensi dello stato Città del Vaticano, ancora de iure e de facto vigente. Gli attuali organismi per accertare i titoli pontifici sono i tribunali ecclesiastici di ogni ordine e grado che operano ai sensi del diritto canonico. Gli atti emessi sono atti statuali e godono (quando in forma di decreto) di valore di legge con efficacia impositiva e imperativa all'interno dello stato Città del Vaticano e dell'ordinamento ecclesiastico. I titoli nobiliari tutelati nel vigente diritto canonico sono i titoli concessi dalla Santa Sede (direttamente o, teoricamente, anche per delega) o concessi dall'Ordine di Malta che però non ha mai di fatto esercitato questo diritto da quando ha perso il possesso delle isole maltesi nel 1799.
Nell'articolo 42 del Concordato del 1929 era ammesso il riconoscimento, mediante decreto del capo dello Stato, dei titoli nobiliari conferiti dai pontefici anche dopo il 1870 e successivamente alla conclusione degli Accordi lateranensi[31].
Per quanto concerne i titoli nobiliari pontifici, dopo l'entrata in vigore della Costituzione italiana, esistevano due correnti dottrinarie opposte: la prima sosteneva che essi dovevano essere riconosciuti dalla Repubblica Italiana perché essendo state costituzionalizzate le norme del Concordato con la Santa sede (1929), che li riconosceva, anch'essi sarebbero stati automaticamente costituzionalizzati; la seconda corrente invece sosteneva che ai titoli nobiliari pontifici andava riconosciuto solo il trattamento riservato ai titoli nobiliari nazionali italiani e quindi per essi esisteva esclusivamente (come per quelli nazionali) il diritto alla "cognomizzazione" del solo predicato.
Nell'accordo di revisione del Concordato lateranense, firmato il 18 febbraio 1984, essendovi prevista l'abrogazione delle norme del Concordato del 1929 non riprodotte nel nuovo documento, ne risultò abrogato anche l'art. 42 che imponeva il riconoscimento dei titoli pontifici, i quali da quella data non sono perciò attualmente suscettibili di riconoscimento da parte dello Stato italiano.
Il Sovrano militare ordine di Malta, ordine religioso indipendente dalla Santa Sede, la cui sovranità è riconosciuta da una parte della dottrina italiana, seguita dalla giurisprudenza del nostro Paese[32] e da altri Stati[33] non effettua più nuove concessioni nobiliari, ma si limita a verificare (dopo un accurato esame dei documenti prodotti) i titoli nobiliari presentati dagli aspiranti che chiedono di essere ammessi in quelle classi che esigono ancora le prove di nobiltà (cavalieri di onore e devozione e cavalieri di grazia e devozione). Per gli aspiranti alla classe di giustizia (il cosiddetto "primo ceto" dell'ordine), in passato rigorosamente riservata ai nobili, la presentazione delle prove nobiliari è stata invece abrogata dalla Costituzione promulgata nel 1997[34].
L'ammissione nell'ordine di Malta in una categoria nobiliare è una indiretta forma di riconoscimento di nobiltà, tanto che un tempo la nobiltà, gli stemmi e le genealogie già approvate erano ammesse, ai fini del riconoscimento, dalla Consulta araldica senza bisogno di ulteriore documentazione.[35]
L'ordinamento dello stato nobiliare della Repubblica di San Marino è regolato dalla legge del 29 settembre 1931 n. 15, e successive modifiche. In relazione agli sconvolgimenti istituzionali italiani, San Marino provvide all'abolizione dell'ordinamento nobiliare (1946), per ristabilirlo poco dopo (1958), con limitazioni al riconoscimento della nobiltà non sammarinese (1969).
La concessione di nuovi titoli nobiliari, prevista nella legge del 1931, è stata vietata nel 1980.[36]
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